
È il 1847. Charles de Choiseul-Praslin, Duca della corte di Luigi Filippo I di Orleans, è accusato dell’omicidio di sua moglie Fanny, che è stata trovata pugnalata in camera da letto. Le dicerie su una relazione dell’uomo con Henriette, l’istitutrice dei suoi figli, sembrano dare conferma di un movente di tipo passionale. Il popolo, ostile alla nobiltà, chiede giustizia per la donna. Pertanto Charles viene imprigionato in attesa della condanna di morte. Per fuggire al patibolo, simula un suicidio con l’arsenico. Il medico che gli ha procurato il veleno gli ha assicurato che, superati sei giorni di tormenti, sopravviverà. Inscenata la sua morte, viene sepolto da un becchino. Si risveglia in una stanza dal colore ocra in compagnia di Ibrahim e sua sorella, incaricati dal re in persona di salvargli la vita. Sotto le mentite spoglie di Georges Desmoulins, inizia la sua fuga verso la salvezza. Giunge prima all’Isola di Wight, poi a New York dove incontra il potente magnate Cornelius Vanderbilt, che lo invita ad accompagnarlo in Nicaragua, il paese dove decide di stabilirsi definitivamente. Ammaliato dalla bellezza esotica del posto e confortato dalla certezza che in quel luogo nessuno potrà mai riconoscerlo, decide di concedersi la possibilità di vivere una seconda vita al pari del Conte di Montecristo...
Le febbri della memoria di Gioconda Belli è la storia di un viaggio e di una rinascita. Il romanzo, come spiega l’autrice nella prefazione, tratta di vicende veramente accadute ed è stato costruito attraverso i racconti di famiglia. Charles de Choiseul-Praslin è infatti un suo antenato, il nonno di sua nonna Graciela, la cui storia è divenuta leggendaria. Forse anche per questo motivo il protagonista sembra davvero una persona reale, con la quale è istintivo entrare in empatia. Un altro degli assi tematici del romanzo è la costruzione di una nuova identità: Charles, per scampare alla condanna, è costretto a fingersi il borghese Georges Desmoulins. Ancora una volta lo dichiara l’autrice in modo esplicito: “Io stessa ho provato molte volte questa esperienza, da militante sandinista ho dovuto assumere altre generalità e in esilio, in Messico o in Costarica, mi sono dovuta reinventare molte volte. Anche semplicemente parlare un ‘altra lingua, il che capita spesso nel mondo delle migrazioni odierno, determina l’assunzione di una diversa personalità”. Una lettura senz’altro consigliata.