
India, una bollente giornata di luglio. L’aeroporto di Patna, nella regione del Bihar, è una stanzetta spoglia affollata. L’unico europeo presente si rende immediatamente conto che anche una necessità banale tipo trovare un taxi per andare alla sua destinazione finale sia molto più complicato che in Occidente. Trovato un taxi dopo varie peripezie, lungo la strada che lo porterà a Baghalpur, inizia a realizzare di trovarsi in un mondo completamente diverso: non esiste codice della strada, ogni autista sceglie la strada che più gli aggrada, facendosi largo tra le altre auto, i clacson strombazzano quasi in continuazione, non esistono marciapiedi, le botteghe sono direttamente sulla strada e si possono incrociare capre e mucche che si mischiano in maniera assolutamente naturale ai vari mezzi di trasporto. Insomma, il caos totale. Per il reporter “Il traffico indiano è, in definitiva, il marasma della vita: indifferente, fatalista, frettoloso. È la declinazione comportamentale della filosofia-religione indiana: indifferenza verso una vita che null’altro è se non finzione o, tutt’al più, mero cambiamento di stato, transizione ineludibile. In attesa della successiva prova (una nuova vita) sino al ricongiungimento definitivo col respiro cosmico”. Altro aspetto che il transitare nel traffico gli sovviene è l’assoluto distacco dalle cose materiali. Se per l’occidentale l’auto è espressione delle proprie possibilità economiche, della propria virilità, diventa una sorta di emanazione del proprio sé, per l’indiano è semplicemente un mezzo di trasporto, “un ammasso di metallo” che serve solo per partire da un punto e raggiungerne un altro”. L’India è solo un Paese divergente dal nostro Occidente? E com’è l’India fuori dagli itinerari turistici?...
Le forme dell’India sono molteplici: Paese affascinante ma estremamente complesso, fonte di grande ispirazione filosofica, l’induismo col suo relativo pantheon è suggestivo ma è anche il Paese delle caste, e di una arretratezza civile sconcertante. In questo viaggio lontano dalle mete dei tour operator, Silvio Grocchetti, ricercatore e reporter che si divide tra l’Italia e Edimburgo, si addentra in una regione rurale, il Bihar. Lungo la strada che da Patna lo porta verso Baghalpur, dal finestrino inizia a farsi un’idea di questa parte del Paese, fatta di “capanne di paglia o abitazioni in terracotta con tetti di lamiera che si affacciano sulla strada...Le abitano indiani dalla pelle scura o stinta, giovani e anziani cinti di stracci oppure per lo più nudi”. Non esistono autostrade “forse perché la fretta di vivere non appartiene a questo popolo ancora sentimentalmente ancorato al flusso di una vita ancestrale”. La cifra di scrittura è strutturata in modo tale per cui ogni azione, immagine o situazione viene direttamente collegata alla filosofia/religione induista, per cui, per esempio, la vita è vissuta nell’attesa della fine (da qui l’apparente passività) che non è morte, ma il riunirsi “col respiro dell’infinito” e rinascita, attraverso la trasmigrazione dell’anima in altro corpo (samsara). La trovo una soluzione molto intelligente e efficace per permettere al lettore di affacciarsi all’enorme e vastissima cultura indiana. Grocchetti sa benissimo che se si vuole parlare dell’India in toto, non è possibile trascurare uno degli aspetti più retrogradi e incivili che ne contraddistinguono la società: la condizione delle donne. Con la modernizzazione della strumentazione per conoscere in anticipo il sesso del feto sono aumentati in modo esponenziale i feticidi dei feti di sesso femminile, che sono trasversali alle caste, e che continuano a verificarsi, nonostante il governo negli anni abbia cercato di porvi rimedio; sradicare una cultura fallocentrica è cosa difficilissima, in una società in cui avere una figlia è considerata una vera e propria sciagura. E, anche riuscendo a nascere, la vita non è detto che migliori perché esiste ancora il sistema dotale, vietato dallo Stato ma ancora molto praticato, per cui se la dote della sposa non è sufficiente o non vengono rispettate le altre richieste di denaro nel corso del matrimonio, la donna viene sottoposta a violenze e soprusi che, spesso, finiscono con l’omicidio o il suicidio. Le obiezioni o i rifiuti della moglie alle continue richieste di denaro, in una società spudoratamente patriarcale come quella indiana, innescano il timore che potrebbe opporsi e ribellarsi anche ad altro e quindi viene attuata una serie di violenze che possono portare anche alla morte, come detto, oppure allo sfregio con l’acido. Lettura molto interessante, che offre aspetti non edulcorati dell’India attraverso occhi molto attenti anche ai minimi dettagli. Ammetto che i dettagli e le descrizioni ridondanti di aggettivi del capitolo di apertura mi avevano tratto in inganno: troppo dettagliato, pesante, un eccessivo uso della “regola del tre”. Ma è stato appunto un inganno, il libro prosegue molto piacevolmente, nonostante alcune notizie aberranti. Un reportage che comprende anche alcune foto emblematiche, scattate dallo stesso autore. Consigliato? Sì.