
Divertire, dal latino de-verto, è un verbo di movimento. Si tratta, letteralmente, di un “volgersi altrove”, guardare con distacco e senso critico alla situazione presente per poi trovare una strada nuova, diversa, spiazzante. Calvino insegnava che il divertimento è leggerezza, è “sottrarre peso”. È cambiare punto di osservazione, un’operazione intellettuale che non può essere ridotta a mero “strumento di annullamento per fuggire il male di vivere e raggiungere paradisi artificiali”... Ricordare è un’azione emotiva e sentimentale – non a caso ha in sé cor, il “cuore”. Per estrapolare dal passato bisogna invece attivare tutte le componenti del pensiero, e cioè la memoria. Parola “etica” e pubblica, quest’ultima (dal latino memini, dal greco mimnèsko), attività dinamica e necessaria affinché il passato diventi monumentum e non cada nell’oblio... La parola “scuola” – dal greco scholè, “riposo”, “tempo libero” – indicava nel mondo classico l’abbandono del lavoro (negotium) per imparare, per divertirsi (il maestro era il ludi magister), per raggiungere l’humanitas. L’apprendimento poteva avvenire solo in uno stato di otium. Niente di più distante dalla visione imprenditoriale che permea la scuola odierna...
Dietro a ogni parola, scrive Marco Balzano – milanese, insegnante, già autore di diversi romanzi, tra cui L’ultimo arrivato, premio Campiello 2015, e Resto qui, finalista allo Strega edizione 2018 – c’è “un mondo da esplorare, un mondo, pieno di elementi che erano sotto i nostri occhi ma che non avevamo mai notato”. A indagare questo fascinoso mondo nascosto ben si presta lo strumento dell’etimologia. “Immergersi nella storia delle parole, infatti”, sostiene ancora Balzano, “permette non solo di salvaguardarne la profondità, ma anche di individuare gli usi impropri, le omissioni, le mistificazioni di cui, senza accorgerci, siamo spesso vittime”. Questo l’intento di Balzano, per il quale lo studio delle radici delle parole, grande assente nell’educazione linguistica, può adempiere ad una funzione non solo conoscitiva, ma anche più spiccatamente sociale e “politica”. Da qui la scelta di affrontare dieci parole di uso comune – divertente, confine, felicità, social, memoria, scuola, contento, fiducia, parola, resistenza – il cui significato, complesso e stratificato, ha subìto un trattamento banalizzante o un brusco allontanamento dal senso originario. È il caso del concetto di confine, che va perdendo la dimensione dell’apertura, dell’incontro insito nel cum, sovrapponendosi a quello più limitante e “fortificato” di limes. O di social, non più incontro tra socii che “procedono insieme”, bensì una spesso sterile condivisione di contenuti. Tali ragionamenti e molti altri, arricchiti da citazioni e puntuali rimandi bibliografici, accoglie questa breve e assai scorrevole raccolta di frammenti, più che altro spunti in grado di stimolare la curiosità per la disciplina etimologica e al contempo di aprire un dialogo con la contemporaneità, offrendo al lettore la possibilità di guardare al proprio ruolo di parlante con maggiore e più proficua consapevolezza.