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Le portatrici

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A seguito dello scoppio di una terribile pandemia che in meno di undici mesi ha determinato la morte di molti milioni di persone, portando disperazione e sofferenza in tutto il mondo, l’umanità è costretta a prendere misure drastiche. Le nazioni del mondo si ritrovano a Reykjavik per sottoscrivere il Trattato dei Continenti, con il quale si stabilisce la necessità di tenere del tutto separate le persone di sesso opposto, per impedire che la malattia continui a circolare. Gli uomini, indicati come i “diffusori” del morbo, verranno chiusi in zone di quarantena, mentre le donne (le “portatrici”) potranno sviluppare una loro libera società, nell’attesa che la ricerca riesca a mettere a punto una cura che consenta di tornare a un’esistenza condivisa. Con il tempo, quella che doveva essere una soluzione temporanea diventa però un assetto stabile, su cui si basa un intero modello di società. Le donne vivono in stati chiamati “arbitrarchie”, nelle quali non si può più mangiare né carne né pesce e si deve porre la massima cura a rispettare l’ambiente e a preservare le ultime risorse naturali. Ogni “portatrice” è individuata per mezzo di uno schermolibro con il quale può anche partecipare attivamente a tutte le decisioni politiche che riguardano il futuro. Per far nascere nuove bambine, si ricorre all’inseminazione artificiale. È in un simile contesto che si svolge la storia di Nikki, la cui relazione con Simone si incrina quando quest’ultima cerca in tutti i modi di rimanere incinta, senza successo. Nikki, che per sua natura non avrebbe nessun impulso a portare dentro di sé una nuova vita, è pronta a fare di tutto pur di vedere il sorriso tornare sul volto della sua compagna. Per questo decide di sottoporsi a un trattamento particolare, facendosi impiantare un “portatore” nell’utero per poi donarlo a Simone, che in questo modo potrà rimanere incinta. Una decisione in grado di innescare conseguenze inaspettate, che porteranno l’intero mondo di Nikki ad andare in frantumi…

Considerato il tema, si potrebbe essere portati a pensare che Le portatrici sia un libro nato sulla scorta dell’impatto emotivo e sanitario della pandemia di Covid-19, ma non è così. In effetti, l’autrice aveva già consegnato il suo romanzo, a cui peraltro stava lavorando da tempo, prima dello scoppio della pandemia. Del resto, la presenza del morbo non è il tema centrale del libro, quanto piuttosto l’espediente narrativo in grado di mettere in moto una vicenda che ruota in primis attorno ai temi dell’identità di genere, del rapporto tra uomini e donne e dell’intrecciarsi tra la dimensione privata e quella politica. L’autrice riesce non solo a tratteggiare i contorni di un universo alternativo del tutto plausibile, caratterizzato persino da un vero e proprio nuovo linguaggio (scelta che ha in qualche modo reso assai complesso il lavoro della traduttrice), ma riesce anche nel compito di non appiattire la prospettiva su un solo personaggio. Nonostante l’intera vicenda sia narrata dal punto di vista della protagonista Nikki, noi riusciamo ad entrare in empatia anche con gli altri personaggi, in primis con Simone. E anche il tema della guerra tra i sessi, potenzialmente esplosivo se trattato con minore sensibilità, viene affrontato in un modo che lascia il lettore libero di trarre le proprie conclusioni, senza la pretesa di voler fornire delle verità assolute ma piuttosto sollevando dubbi e domande. Se vogliamo, l’unico limite del romanzo consiste in una sorta di eccessivo appiattimento sull’analisi introspettiva di Nikki, a scapito dello sviluppo della trama. Con un’idea di partenza tanto originale ed esplosiva ci sarebbero stati tutti i presupposti per realizzare un’opera di vasto respiro, magari sviluppando alcuni temi che rimangono solo accennati sullo sfondo, soprattutto per quello che riguarda la gestione “politica” del tema delle quarantene e del trattamento da riservare ai diffusori. La scelta dell’autrice di concentrarsi soprattutto sulle vicende personali di Nikki rischia di sottrarre un po’ di ritmo e questo si avverte soprattutto nella seconda parte della narrazione, quando la mancanza di una vera e propria tensione narrativa si fa sentire in diversi passaggi.