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Le scavatrici

Le scavatrici

Bosnia Erzegovina, 2013. Senem offre a Taina un pezzetto di cioccolata come dessert, perché lì tutti hanno bisogno di “qualcosa di dolce”. La pausa pranzo è finita, si sparecchia il cofano della macchina usato come tavolo in mancanza di mobilio e si riprende a lavorare, picconi, escavatore, tuta e guanti. La terra si dischiude e libera il suo contenuto, sepolto e conservato per più di vent’anni. I ricercatori scavano ormai da un mese, lasciando le pale e procedendo con le mani quando sono troppo vicini ai corpi. L’odore di morte è forte, impregna naso e vestiti, ed è difficile da lavare via, anche la sera, in camera: il terreno argilloso, trasformato in fango appiccicoso dalle piogge autunnali, ha ritardato la decomposizione che riparte e accelera non appena i corpi sono riportati all’aria aperta. Si stima la presenza di circa 900 cadaveri in questa fossa comune, immensa, grande come un campo da calcio. Chi ne rivela il numero è uno dei conducenti dei camion che trasportavano le vittime della pulizia etnica nell’estate del 1992. Taina non sapeva cosa aspettarsi esattamente prima di arrivare, era impreparata a ciò che avrebbe trovato. Ma il suo percorso di consapevolezza è iniziato tre anni fa, quando ha conosciuto Senem all’obitorio per i dispersi di guerra...

“La natura cicatrizza in meno tempo che gli esseri umani”: le ferite a lungo aperte dei famigliari delle vittime lo dimostrano e Taina Tervonen, giornalista e regista di documentari, sa mostrare le sfumature di speranza e dolore dei sopravvissuti. Un reportage che non ha il piglio distaccato e asettico del giornalismo d’assalto, ma è stemperato dalle emozioni del racconto e del diario, a cui l’autrice aggiunge sentimenti, emozioni e ricordi. La Tervonen infatti non si limita a descrivere e annotare, ma si spinge a trasmettere, con sensibilità e rispetto, anche gli aspetti più intimi delle persone che incrocia durante il suo lungo lavoro di ricerca e raccolta di dati e i legami che lei stessa ha creato. Anche gli aspetti più tecnici delle procedure non hanno rigore scientifico, ma sono appena accennati. Tante le vicende raccontate, gli aneddoti, le storie di vite, di amore, di morte, di gratitudine, di famiglie mutilate e l’importanza di restituire loro speranza, pace, dignità attraverso la possibilità di seppellire un famigliare disperso. Numerosi i dialoghi, ma molte anche le parti discorsive in cui la giornalista riporta brani di conversazioni, senza mai vere e proprie interviste: Le scavatrici è più il dietro le quinte del documentario che si trova lì per girare in quegli anni (Parler avec les morts). Scorrevole, commovente, emozionante e intenso. Un contesto storico poco conosciuto e troppo poco raccontato, nonostante non remoto, e una ancora meno conosciuta ICMP (Commissione internazionale per le persone scomparse), che vale invece la pena di raccontare a fronte del silenzio e della negazione che troppo spesso soffocano la storia che, inevitabilmente e inesorabilmente, si ripete.