
Milano, anni Trenta. Due tipi distinti si trovano faccia a faccia sulla soglia dell’Hotel Londra: un breve saluto nel rispetto dei convenevoli, ma dalle espressioni dei volti è facile intuire che tra loro non corre buon sangue. Sono amanti del Ponte, giuoco di carte che prevede un complesso regolamento, molto apprezzato dalle persone della nobiltà e dell’alta borghesia soprattutto per le somme considerevoli che i giocatori rischiano. La signora Maria Viscardi Negroni è responsabile dei tornei di Ponte all’Hotel Londra, un ruolo di estrema delicatezza non solo per l’aspetto organizzativo, ma soprattutto per la necessità di creare di volta in volta coppie ben assortite. Ogni giocatore ha delle preferenze in base alle proprie capacità di gioco, Maria deve tenere in considerazione le richieste dei suoi avventori nel distribuire i posti a sedere ai tavoli. Gran parte dei clienti sono habitué e questo la aiuta, perché con il passare del tempo ha imparato a conoscerli non solo come amanti del Ponte, ma anche nella vita privata per quanto lasciano trapelare su loro stessi. Fanny Grolli è tra i più esigenti, dal compagno che le viene assegnato si attende sempre il massimo delle prestazioni. Poi ci sono i conti Merani, moglie e marito, ma lei molto raramente si siede al tavolo perché mentre “infuriano” le partite preferisce appartarsi con il giovane Enrico Acrisles, figlio del marchese Arturo Acrisles, un vecchio produttore di Hollywood che cerca in ogni modo di nascondere il reale motivo del suo trasferimento in Italia. Altrettanto nota nel mondo del cinema è la vedette Pearl Selsirca Adaire, ancora giovane e attraente, che ha a sua volta lasciato l’America sempre per motivi non del tutto chiari; di lei è pazzamente innamorato sir Donald Hendel. Completano il gruppo degli habitué della signora Maria altri due uomini provenienti dagli Stati Uniti, Gibbs Brocksley e Anthony Blitz, dal passato assai oscuro si vocifera che siano stati incarcerati per un breve tempo a Sing Sing. Quella sera fuori dall’albergo la nebbia è talmente spessa che si potrebbe tagliare con il coltello; un paesaggio urbano cupo e tenebroso, che ai giocatori di Ponte sembra annunciare un evento estremamente spiacevole. Le loro ansie trovano conferma quando il corpo del marchese Arturo Aclisles viene trovato senza vita, abbandonato su una poltrona della sala da cui si accede ai tavoli da gioco. Il vecchio nobile è stato avvelenato. Tra i presenti, però, si è aggiunto un nuovo giocatore: un omino dalla statura solo di un metro e mezzo amante del whisky di annata, Vladimiro Curti Bo, che sembra intenzionato a raccogliere tutti gli indizi rimasti sul luogo del delitto per scoprire l’assassino…
Quando in scena fa il suo ingresso il commissario Carlo De Vincenzi, le indagini avviate in modo comico ma non affatto sommario da Curti Bo non hanno ancora portato alcun esito positivo. L’astuto poliziotto per la prima volta nella sua carriera si trova completamente in alto mare. Di fronte a sé ha un gruppo di persone che, per ragioni ancora da accertare, dopo essersi conosciute negli Stati Uniti si sono ritrovate, pare per caso, a Milano proprio all’Hotel Londra. L’estrema versatilità è la qualità che permette al detective di orientarsi in un labirinto fatto di situazioni apparentemente incomprensibili. Se ogni indagatore creato dai maggiori autori del genere noir ha il suo personale modus operandi – Miss Marple è solita chiacchierare a lungo con gli indiziati per ricostruire i fatti tassello dopo tassello dai loro racconti, Sherlock Holmes è invece attento a ogni minimo particolare – De Vincenzi adotta ogni strategia possibile in campo investigativo per risolvere il difficile caso. Raccoglie gli indizi, riflette a lungo sulle vicende accadute, fa domande a volte provocatorie per mettere in difficoltà chi gli sta di fronte. Tutto questo mentre la nebbia che caratterizza la Milano autunnale sembra costringere a barricarsi nei propri appartamenti; quasi tutte le scene del romanzo si svolgono in ambienti chiusi, gli indiziati nei propri vizi e nelle proprie debolezze rappresentano una realtà sociale a parte, lontana dalle questioni che quotidianamente impegnano le persone comuni. Il commissario si sente in dovere di farli sorvegliare costantemente dai suoi uomini, scelta che dimostra la necessità di ricordare loro il grave reato avvenuto per impedire che tornino alle futili occupazioni. Ma tutte le strategie possibili non evitano a De Vincenzi di sentirsi come se stesse brancolando nel buio, solo la sua costante concentrazione gli consentirà di cogliere l’errore decisivo commesso dall’assassino. La storia potrebbe facilmente annoiare il lettore per la staticità delle vicende, ma grazie all’attenta caratterizzazione dei personaggi la narrazione procede sempre con scorrevolezza. Abbastanza divertenti sono anche i momenti in cui De Vincenzi si ferma a fare il punto della situazione, con un chiaro richiamo al lettore più attento che si sente in dovere di riflettere insieme a lui. Nato a Roma nel 1888, Augusto De Angelis è stato autore di una ventina di gialli con protagonista il commissario De Vincenzi, a cui la Rai ha dedicato tra il 1974 e il 1977 una serie televisiva dove Paolo Stoppa ha indossato i panni del poliziotto milanese. La censura del regime Fascista, che colpì tutti i romanzi gialli imponendo persino la chiusura della storica collana della Mondadori, non risparmiò le opere di De Angelis, che nell’estate del 1943 fu al fine arrestato con l’accusa di antifascismo. Liberato dal carcere di Como, l’autore morì l’anno successivo per le gravi conseguenze riportate dopo essere stato violentemente percosso da un repubblichino.