
1650.Nello stesso anno in cui Marianna de Leyva - ispiratrice della monaca di Monza citata da Alessandro Manzoni ne I promessi Sposi - muore all’età di settantaquattro anni, all’altra estremità dell’Italia - quella Sicilia che vive sotto il dominio spagnolo - la sedicenne Anna Valdina, figlia del principe Andrea, sta per prendere i voti. Chiusa nel monastero delle Stimmate di Palermo, è costretta dalla famiglia, fin dall’età di sette anni, a vivere nel convento delle clarisse di via Maqueda. Minacciata dal padre e dal fratello, Anna resta tra le mura claustrali per oltre quarant’anni. Nel 1692, poi, dopo la morte del padre e del fratello, chiede di rinunciare ai voti e, per ottenere il riconoscimento delle sue ragioni, deve addentrarsi in una manovra diplomatica decisamente contorta e complessa. Si riuscirà a trovare il miglior compromesso solo grazie all’intervento del viceré e dell’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede... Quando i Mille - uno più, uno meno - si imbarcano da Quarto al seguito di Giuseppe Garibaldi, tra loro c’è una donna, una francese di trentacinque anni, Rosalìe Montmasson, moglie di Francesco Crispi. Rosalìe e Crispi si sono incontrati a Marsiglia, dove lei era una stiratrice. All’epoca Crispi è vedovo di una ragazza palermitana sposata quando era universitario e ha un figlio, Tommasino, avuto da Ciuzza, una donna più grande di lui di dieci anni, che ha a lungo e vanamente reclamato un matrimonio riparatore e soldi per mantenere il bambino. Crispi è quello che si dice un “fimminaro” e lo rimarrà per tutta la vita, anche dopo aver sposato Rosalìe, il 27 dicembre 1854. Lei è una donna appassionata, fedele alle sue idee e libera in un tempo in cui per una donna è davvero difficile esserlo... Primi anni del 1300. In una cella del castello di Matagrifone, a Messina, ci sono una donna e un uomo. Lei è Macalda di Scaletta. Lui è l’emiro di Gerba. Macalda è la prima donna e la prima siciliana censita dalle cronache del suo tempo come giocatrice di scacchi...
Essere donne in Sicilia è doppiamente complicato. E questa doppia difficoltà è quella che tenta di esplorare Gaetano Savatteri - giornalista e scrittore siciliano - nel suo ultimo saggio. L’intento dell’autore è quello di raccontare i luoghi comuni nati intorno alla figura della “femmina sicula” - l’eccessiva remissività nei confronti dell’uomo da una parte e l’esagerata sensualità dall’altra - e di infrangerli, presentando le vicende di alcuni personaggi storici che, con le loro imprese, confermano o contraddicono tali luoghi comuni. Partendo da Santa Rosalia - la fanciulla che salva Palermo dalla peste guadagnando così la devozione popolare -, e arrivando a Franca Viola - che si ribella, in tempi non sospetti, all’umiliante pratica del matrimonio riparatore - Savatteri propone al lettore un’interessante carrellata di personaggi femminili ben lontani da quelli che sono i cliché di sempre: donne sottomesse al marito che esige rispetto, figure infagottate in scialli neri o in dimessi grembiuli, vittime dell’analfabetismo e dell’ignoranza, figure invisibili e silenziose. No. Le donne di cui l’autore racconta gli aneddoti sono figure multicolore, femmine di ferro e fuoco figlie della maestosità dell’Etna; sono madri, sorelle e amiche capaci di liberarsi dai lacci e dalle pastoie di una società retrograda e dominata dall’ignoranza. Sono figure piene di luce, capaci di vivere le passioni, di credere in ideali e di cercare di raggiungere gli obiettivi che si sono prefissate. Sono donne che sanno indossare i pantaloni, sanno imbruttirsi per esigenze di copione (salvo poi rimanerne vittime); riescono a diventare taglienti come una lama nella loro ricerca di giustizia, imparano a leggere, a scrivere e a gestire immensi patrimoni; mettono la loro intelligenza a servizio della realtà nella quale vivono e provano a cambiarla. Molte sono le storie che Savatteri riporta sulla pagina e ciascuna di esse racconta di quanto le donne abbiano, nel tempo, lottato e combattuto - più e forse meglio degli uomini - per i loro diritti, o anche solo per riuscire a far sentire la loro voce in una realtà dominata da un maschilismo difficile da scalfire. Accomunate dalla volontà di inventare, per ognuna di esse, un nuovo destino, le donne di Savatteri vengono narrate con una prosa piana e intrigante, con uno stile nel quale l’ironia si mescola sapientemente alla tensione di chi cerca, pur tra dolori e contraddizioni, di affermare il proprio essere donna in una terra complessa come la Sicilia, ben diversa dalle due tipologie che l’immaginario comune ha da tempo cristallizzato: la donna di mafia e quella che Savatteri definisce la “mater dolorosa”. Lettura estremamente interessante, che Savatteri dedica alle donne della sua vita “senza le quali” scrive “sarei peggiore: sicuramente più povero d’animo, più triste”.