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Le stelle mobili del sottosuolo

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Antonio e la sua vita ribaltata da quando. Da quando lei non c’è più. E da quando lei non c’è più, Antonio non si è mai ripreso. Però, dopo tanti anni, dice di aver vinto le sue ansie, le sue paure e i sensi di colpa andando da una psicologa, ma la paura è tornata volando come un grifone, non appena ha smesso la terapia. Finge che vada tutto bene, Antonio, soprattutto con i suoi coinquilini. Dice che ora riesce ad aprire le lattine senza spaventarsi, che però tonerà dalla psicologa, lo ha promesso. Invece dalla psicologa non ci va e quando rientra nella sua stanza si ingozza di birra e ingoia tanti di quegli antidolorifici da restarci quasi secco, cosa che non gli dispiacerebbe affatto. Quando si risveglia, immerso nel proprio vomito e nelle pastiglie, cerca di uscire dalla stanza per chiamare l’amico Tiziano ma, anziché raggiungere la maniglia, si ritrova sbalzato in aria. Rumore di pareti che si crepano, di legno che schiocca, antifurti che strillano. Il pavimento tossisce, tutto si ribalta. Letteralmente. Antonio finisce sul soffitto, tirandosi dietro la porta con tutti i cardini. È il mondo che è finito sottosopra. Potrebbe essere un incubo procurato dalle pastiglie e dalla birra, invece non lo è. Ora la terra sta sopra e il cielo sta sotto e tutto cade e precipita. Cose, auto, persone. Uno scenario apocalittico: la sua città, forse il mondo intero distrutto da un Leviatano. Forse non c’è più nessuno ad eccezione del grifone e Antonio morirà di fame, prima o poi. A meno che non ci sia qualcuno nel palazzo. Sopravvissuti come lui. Ma nessuno è come lui, ancora vivo nonostante una perdita troppo grande tanto da reggersi a malapena in piedi, mentre la voce della paura continua a tormentarlo: avanti, racconta quello che è successo…

Esordio letterario tutt’altro che classico, quello di Enrico Prevedello, padovano classe 1984, insegnante di lettere alle superiori, che mette in scena un’Apocalisse inusuale, con il mondo che fa la verticale, il cielo sta giù e la terra va su. Cambi di prospettiva repentini. Sembra un messaggio che la Natura, qui Dio non c’entra, manda direttamente ad Antonio, come a dirgli: se vuoi vivere ancora, anzi, siccome devi continuare a vivere, che tu lo voglia o no, allora devi cambiare modo di vedere le cose e affrontare le situazioni tenendo gli occhi aperti, per capire quello che succede e chi ti sta davanti. Il popolo dei sopravvissuti che Antonio incontra nel mondo 2.0 è un succo di quello che c’era prima in scala maggiore. Il buono, il cattivo, il vecchio, il bambino, la donna. E poi la costruzione di un ponte da un palazzo a un altro, che non vuol dire sempre raggiungere la salvezza. A volte i ponti ti fanno scoprire qualcuno che sarebbe meglio non incontrare. Infine, c’è forse un altro messaggio: quello che a dare un nome alle cose, persino alle più paurose, si finisce per affezionarcisi. Così succede al grifone Ctonio, probabilmente nome non casuale, creatura che da principio spaventa ma che poi soffre e patisce tanto quanto Antonio. Come a dire, noi affrontiamo le paure e le paure affrontano noi. Insomma, arrivarci in compagnia, tenuti per mano, oppure legati allo stesso paracadute, mentre si precipita nel vuoto, aiuta a vincerle, conoscerle, ammansirle. E chi lo sa che, oltre quelle, non ci sia dell’altro.