
Nel 1965 il regista francese Jean-Luc Godard dirige Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution (Agente Lemmy Caution: missione Alphaville, in italiano), una pellicola che mescola fantascienza e noir e che vede l’attore Eddie Constantine vestire i panni dell’agente segreto Lemmy Caution, personaggio ideato dallo scrittore britannico Peter Cheyney. Caution è arrivato nella città extraterrestre di Alphaville dai mondi esterni, alla ricerca del professor von Braun, ideatore di Alpha 60, un supercomputer che governa la popolazione, assoggettandola ad una dittatura che ha bandito i sentimenti, le emozioni, e le parole per esprimerle, e che non esita condannare a morte chiunque venga scoperto a compiere atti illogici, vale a dire, a manifestare in modo esplicito moti dell’anima. L’uccisione avviene secondo un copione brutale e al contempo spettacolare, per ottenere un effetto dissuasivo: il reo, condotto sul bordo di una piscina olimpionica, viene falciato da raffiche di mitragliatrice. Una squadra nuotatrici si occupa di finire il malcapitato a pugnalate. “Erano le mezzanotte e diciassette, ora oceanica, quando raggiunsi la periferia di Alphaville”, dice la voce fuori campo di Lemmy Caution nelle scene iniziale del film. Con questa citazione si apre il primo dei tre saggi confluiti ne Le strade di Alphaville. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura, ove per “paraletteratura” si intende «una narrativa parallela a quella ritenuta per definizione “alta” [...], con un proprio mercato, una propria peculiare longevità (di solito molto estesa)», costituita da generi letterari oggetto di forme più o meno velate di disprezzo da parte di certa critica. Una narrativa che riesce, in modo del tutto naturale, in alcuni casi, a leggere la realtà - e a volte ad anticiparla - oltre le rappresentazioni ufficiali e di comodo che ne vengono proposte; che incontra più facilmente il favore dei lettori, rispetto alla letteratura considerata “impegnata”, e che dunque si presta a divenire terreno di contesa dell’immaginario, e a rendere possibili tentativi di fuga da quella immensa Alphaville in cui viviamo...
«Il guaio è che l’Italia è un paese che sembra aver fame di mediocrità, di tinte tenui, di variazioni di grigio. Quanto più si evitano i colori vividi (anche se di recente è stato riabilitato il nero orbace), tanto più si è vicini all’arte. È un male antico [...] tuttavia si è fatto patologico da un ventennio in qua. Credo che abbia pesato lo shock di Brigate Rosse e gruppi affini: per impedire che risorgessero gli anni Settanta, occorreva eliminare alle radici l’idea stessa di contrapposizione e di conflitto, smussare le asperità, bandire le fratture, ottundere gli alterchi. Solo una pappa morbida e compatta lo avrebbe consentito. È la ricetta praticata sia in politica (a parte la destra, cui è stato lasciato il monopolio dell’aggressività) che in campo culturale...».
Scrittore, saggista, militante, attivista, fondatore della rivista “Carmilla online”, punto di riferimento della controcultura, creatore della saga dell’inquisitore Nicolas Eymerich: Valerio Evangelisti, classe 1952, bolognese, riassume in questo saggio due lustri di considerazioni, visioni, analisi sulla paraletteratura e sul panorama culturale e sociopolitico italiano e occidentale, offrendo uno sguardo “dall’interno” - dalla posizione dell’outsider - lucidissimo e affilato. Le strade di Alphaville raccoglie 44 di 96 articoli pubblicati tra il 1995 e il 2005 e apparsi inizialmente in tre saggi - Alla periferia di Alphaville. Interventi sulla paraletteratura (2001), Sotto gli occhi di tutti. Ritorno ad Alphaville (2004) e Distruggere Alphaville (2006) -, rieditati in modo da restituirne un unicum più organico, grazie alla cura meticolosa di Alberto Sebastiani (ricercatore, saggista, esperto in fumetto e in interazione tra i linguaggi, collaboratore de “La Repubblica” e di “Lingua italiana - Treccani.it”) che firma anche una preziosa introduzione al testo. Il termine “immaginario” - scrive Sebastiani -, viene impiegato da Evangelisti come «uno spazio di sapere condiviso nello spazio e nel tempo, in precise culture ma anche in assoluto, così come in campi letterari specifici [...] qualcosa a suo modo di concreto, [...] un ipotetico repertorio di rappresentazioni, figure, schemi, immagini, suoni e narrazioni popolari e colte, che divengono un patrimonio culturale comune anche grazie, in teoria, al loro legame profondo con gli archetipi dell’”inconscio collettivo” junghiano». Per Evangelisti l’immaginario è il terreno in cui una certa visione del mondo, quella neoliberista, si è imposta, colonizzando ogni spazio con i suoi (dis)valori, con il suo storytelling, amplificato da media servili e asserviti. Ed è su questo stesso terreno che quella narrazione può e deve essere contrastata. I mezzi letterari che, da questo punto di vista, appaiono più idonei, sono proprio quelli della paraletteratura, ovvero della letteratura di genere: il noir (contrapposto alla “letteratura bianca”, caratterizzata da «scritti alla melassa, richiami al buon senso comune, prese di posizione caute, sentimenti in penombra»); la fantascienza, «quel filone della letteratura popolare che situa le proprie storie nel contesto dei sogni e degli incubi generati dallo sviluppo scientifico, tecnologico e socioeconomico di un’epoca data», capace di preconizzarne con largo anticipo le evoluzioni; la letteratura horror, o quella d’avventura, in tutte le loro svariate declinazioni, in grado spesso di penetrare a fondo nell’animo dei lettori, anche grazie, per l’appunto, a personaggi che incarnano figure archetipiche e a trame che pescano negli abissi dell’inconscio individuale e collettivo. Da segnalare gli articoli dedicati nell’ultima parte del volume ad autori come Howard Phillips Lovecraft, Richard Matheson, Philip K. Dick, Dashiell Hammett, Jean-Patrick Manchette, Joe R. Lansdale, e il raccontino conclusivo Marte distruggerà la Terra, che prende le mosse dalle famose dichiarazioni rese all’Assemblea delle Nazioni Unite da Colin Powell, all’epoca Segretario di Stato degli Stati Uniti che, agitando una provetta contenente polvere bianca - forse borotalco, spacciato per antrace - accusò Saddam Hussein della costruzione di armi di distruzione di massa, anticipando l’imminente offensiva americana e l’inizio della guerra contro l’Iraq. Corredato da un ricco apparato iconografico (locandine, ritratti di autori, copertine di libri) e da un indice analitico finale che si rivela una eccellente bussola di navigazione tra le pagine, il saggio risente comunque di una certa frammentarietà, legata alla disomogeneità dei contenuti (prefazioni, postfazioni, articoli, commenti); d’altro canto, la loro riproposizione in questa veste consente di tracciare le coordinate lungo le quali seguire l’evoluzione del pensiero di Valerio Evangelisti - scomparso nell’aprile del 2022, prima della realizzazione del volume -, e di rievocarne con rimpianto la voce possente, vivace, fuori dal coro, di fronte a scenari letterari, politici, sociali in rapido mutamento.