
Augusto Germano Poncarè è in punto di morte. Chi era o, meglio, chi è in procinto di essere stato costui? Un fesso. Sì, professore universitario. Sì, direttore di quotidiani. Sì, poeta e narratore pubblicato dai più importanti editori italiani e stranieri, ma, prima di tutto, un fesso. Signore Incontrastato della Banalità e Supremo Dominatore della Cretinata Spicciola Buttata Lì. Quella che ha vissuto non può neanche essere definita una vita, ma una carriera. Come, d’altra parte, la sua morte non può essere considerata tale, quanto, piuttosto, una scomparsa. Un posto vuoto da riempire. La sua esistenza, infatti, si è svolta tutta all’insegna della mediocrità. Una mediocrità che gli ha impedito di studiare, approfondire, appassionarsi e persino di amare. Che, poi, parlare di mediocrità non sarebbe nemmeno corretto, dato che, per quella, gli mancava la media minima. La sua era proprio cretinaggine, e allo stato così puro che stupiva, incuriosiva, spiazzava, tanto da essere scambiata spesso per originalità, audacia o – peggio ‒ per genio. Tipo quando riuscì a farsi considerare sublime poeta ermetico, anche se i suoi componimenti, tutti immancabilmente ispirati a Salerno (Caput mundi, altro che la sonnacchiosa Roma!), erano dettati solo dalla scarsa, pressoché assente, cultura e dal conseguente esiguo numero di parole conosciute. Oppure, quando passò per un vero duro, impermeabile alle minacce di Laurienzo ommemmerda, mentre, invece, era solo un sordo, che si era dimenticato di accendere l’apparecchio acustico. Insomma, Augusto Germano Poncarè non era (stato) solo un cretino, ma un cretino pericoloso…
Di personaggi arrivisti, mediocri e trasformisti il mondo letterario è densamente popolato (e non solo lui). Impossibile non pensare a Sasà Scimoni de L’arte di arrangiarsi, di Luigi Zampa, scritto e sceneggiato da Vitaliano Brancati, con un Alberto Sordi catanese, pronto a cambiare casacca al primo sentore di crisi; all’Augustus Carp di Henry H. Bashford, alternativamente casto e dissoluto, integerrimo e corrotto; e allo jacovittiano Battista l’ingenuo fascista, totalmente pervaso da fervore politico di ogni colore, purché garanzia di vita tranquilla. Su questo panorama mancava un esemplare born in Salerno. Ha colmato la lacuna Amleto de Silva, vignettista satirico, prima che scrittore, creando un protagonista la cui vacuità, fatta di accidia e cattiveria, è tale e tanta da non farlo risultare, al lettore, fastidioso o irritante, ma inevitabilmente e potentemente comico. La vita di Augusto Germano Poncarè, un essere capace di adattarsi – darwinianamente parlando ‒ e di mutare, pur rimanendo sempre uguale (leggasi: un cretino), è raccontata da una voce narrante che afferma di conoscerlo e di detestarlo da sempre e che quindi gioisce nel vederlo morire. Che la narrazione non segua un ordine cronologico non disturba né confonde. Anzi, aumenta il coefficiente di comicità degli aneddoti, nel momento in cui svela l’assurdità delle premesse di fatti di cui già si conosce l’esito. Su tutte, il perché del comportamento del protagonista. Adolescente svogliato, in un libro preso a caso da uno scaffale ha letto una frase di Guido da Verona, che l’ha illuminato e che da quel momento è diventato il suo faro: “(…) bisogna lasciar l’ideale in portineria”. E dunque, in nome della mancanza di un ideale, sì a tentare il rapimento di Benedetto Croce, firmatario del Manifesto degli intellettuali antifascisti nell’Italia fascista, per poi blandirlo nell’Italia post-fascista. Sì a entrare nella loggia Principe Arechi, purché la fratellanza sia conveniente. Sì a dire la propria, ma solo sulle colonne del proprio giornale, nella fattispecie “Il Cittadino”, la fortezza da cui Augusto conduce le sue battaglie. Contro Napoli, innanzi tutto, su cui Salerno può vantare superiorità culturale e antropologica; contro Alighiero Noschese, colpevole di aver imitato tutti tranne i salernitani; contro il cinema Neorealista, che ha sempre ignorato Salerno e persino contro lo sbarco sulla Luna, impresa da sbruffoni americani, che non sanno quanto è meglio godersi il bel mare di Salerno, il vero motore del Paese, la Milano del Sud. Il libro è una lettura esilarante, in cui si percepiscono distintamente il piglio e il ritmo di un autore abituato a muoversi nei territori dell’umorismo e della satira. Si chiude con un finale del tutto inaspettato e lasciando al lettore l’onere di trovare una risposta alla domanda delle domande: è più cretino il cretino o chi lo segue?