
Un tramonto di Luglio fa capolino, discreto, nella stanza di Pete Boland, un ragazzo come tanti che, spossato dal caldo estivo, si alza dal letto giusto per espletare le funzioni primarie e, come in questo caso, per rispondere al telefono. All’altro capo dell’apparecchio c’è Nicole, un’amica di lunga data che sta per trasferirsi a Parigi. Gli propone una rimpatriata; si sarebbero rivisti al “covo” con gli altri del gruppo, Eric, Pauly e Raymond. Già, Raymond. Quel ragazzo è sempre stato un mistero per tutti, così chiuso e introverso, sembra vivere in un mondo tutto suo, un mondo nel quale vivono solamente lui e il suo coniglio. Pete ha sempre voluto bene a Raymond, ha fatto di tutto per non farlo sentire diverso, anche quando gli altri lo prendevano in giro credendo che fosse un po’ “suonato”. In ogni caso la proposta di Nicole è allettante e Pete non vede l’ora di ritrovarsi con gli altri come ai vecchi tempi; in quel posto malridotto in cui sono cresciuti, scrivendo alcune fra le pagine più gloriose delle loro tranquille vite da adolescenti di provincia. Tranquille finora …
Kevin Brooks è un autore singolare, avendo svolto molti lavori prima di cimentarsi a tempo pieno nella scrittura e, fra le sue occupazioni, non si può non segnalare il tentativo di diventare una rockstar. Perché partire da qui, nel recensire questo libro? Per il semplice fatto che si tratta di un’opera che flirta continuamente con i problemi adolescenziali, piccole-grandi questioni che i teenager di tutto il mondo cercano di soffocare alzando al massimo il volume dei loro iPod, sfogandosi con i loro cantanti preferiti, da sempre aedi in blue jeans in grado di cantare meglio di chiunque altro le quotidiane “battaglie” per affermare la propria esclusività, al fine di trovare una via d’uscita a quei subbugli emotivi che contraddistinguono quell’età, primaverile e autunnale al tempo stesso. Primaverile perché preludio all’età adulta, autunnale perché con essa si staccano definitivamente le ultime foglie d’innocenza della fanciullezza. È da qui che L’estate del coniglio nero trae la sua forza emotiva, prima che narrativa: si tratta di un romanzo sincero, a cuore aperto, che mette a nudo con semplicità il passaggio dall’ adolescenza all’età adulta, cristallizzando su pagina il momento in cui l’ultima foglia autunnale si stacca dall’albero. Ma non è solo questo, è anche un thriller caratterizzato da un buon ritmo e, purtroppo, da un finale un po’ frettoloso che non va comunque ad intaccare una prova senz’altro positiva dell’autore inglese.
Kevin Brooks è un autore singolare, avendo svolto molti lavori prima di cimentarsi a tempo pieno nella scrittura e, fra le sue occupazioni, non si può non segnalare il tentativo di diventare una rockstar. Perché partire da qui, nel recensire questo libro? Per il semplice fatto che si tratta di un’opera che flirta continuamente con i problemi adolescenziali, piccole-grandi questioni che i teenager di tutto il mondo cercano di soffocare alzando al massimo il volume dei loro iPod, sfogandosi con i loro cantanti preferiti, da sempre aedi in blue jeans in grado di cantare meglio di chiunque altro le quotidiane “battaglie” per affermare la propria esclusività, al fine di trovare una via d’uscita a quei subbugli emotivi che contraddistinguono quell’età, primaverile e autunnale al tempo stesso. Primaverile perché preludio all’età adulta, autunnale perché con essa si staccano definitivamente le ultime foglie d’innocenza della fanciullezza. È da qui che L’estate del coniglio nero trae la sua forza emotiva, prima che narrativa: si tratta di un romanzo sincero, a cuore aperto, che mette a nudo con semplicità il passaggio dall’ adolescenza all’età adulta, cristallizzando su pagina il momento in cui l’ultima foglia autunnale si stacca dall’albero. Ma non è solo questo, è anche un thriller caratterizzato da un buon ritmo e, purtroppo, da un finale un po’ frettoloso che non va comunque ad intaccare una prova senz’altro positiva dell’autore inglese.