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Lettera a D. - Storia di un amore

Lettera a D. - Storia di un amore

Un giovane ebreo viennese, profugo dopo la Seconda guerra mondiale, e una ragazza inglese, che fa l’attrice: entrambi giunti a Losanna nel 1947, si incontrano, si prendono, si ameranno per tutta la vita. Lui è Gérard Horst, nom de plume André Gorz, scrittore, saggista, giornalista e filosofo, poi protagonista della stagione di rinnovamento del celebre “Maggio francese”, vicino a Sartre e Marcuse; lei è Dorine Keir, dolce e affascinante, che nel loro primo incontro viene assediata da altri uomini, “sovrana, intraducibilmente witty, bella come un sogno”. L’intesa è quella degli esiliati, degli erranti, di coloro che non hanno una vera famiglia o che l’hanno persa di vista (“Avevamo bisogno di creare insieme […] il posto nel mondo che ci era stato negato”); Andrè, pur di sposarla, supera l’opposizione della propria madre, che voleva addurre fumosi motivi di incompatibilità nella grafia di lei, e anche quella che sente dentro se stesso, allergico alle usanze borghesi. La amerà con passione incrollabile, pur confessando in questa tardiva lettera, scritta per la moglie quando ormai erano entrambi al termine: “Non ho mai espresso tutto ciò così chiaramente. In fondo a me lo sapevo. Sentivo che tu lo sapevi. Ma la strada affinché queste ovvietà vissute si aprissero un cammino nel mio modo di pensare e di agire è stata lunga”…

“Perché sei così poco presente in quello che ho scritto mentre la nostra unione è stata ciò che vi è di più importante nella mia vita?”, si chiede l’autore in apertura di questa intensa epistola che intreccia i fili di una storia che è romanzo. Una storia con il sapore dell’eternità, come oggi è più raro incontrare, quella di André e Dorine, la cui esistenza si è conclusa nel 2007. Come ci spiega Adriano Sofri, in una nota a margine dell’edizione, la lettera di André fu terminata entro il 6 giugno 2006, a testimonianza di una devozione mai spenta. Dorine, 83 anni, affetta da malattia degenerativa, e suo marito di 84 anni furono trovati distesi vicini, nella casa di campagna. Si sono suicidati per volontà comune, lasciando tutta una serie di istruzioni per le esequie e la cremazione. Vivevano in ritiro già dal 1983 e la malattia di Dorine era la più grande preoccupazione, anche se André continuò per molto tempo a pubblicare, a tessere contatti di alto profilo. Ci sono parole, nella lettera, che lasciano il segno nel cuore di chi legge: “Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie”. C’è di che commuoversi per una tale fiamma, ripercorsa da Gorz in ogni sua sfumatura, dal momento in cui i futuri coniugi si sono conosciuti, poi attraverso una quotidianità piena di frequentazioni culturali, infine nella vecchiaia ancora operosa. Il punto di vista è esclusivamente quello dell’autore, che dichiara al mondo, finalmente a voce alta, finalmente in modo intenzionato, come la presenza della moglie sia stata l’unica cosa che abbia avuto e dato un senso. Non i libri, non gli articoli, non il contatto con i maître à penser, non le gratificazioni, i complimenti: solo lei, solo Dorine, ha fatto la differenza.