
Come si diventa scrittori? O meglio, come si può trasformare in romanzo quell’esigenza febbrile di inventare mondi e racconti che pervade l’aspirante scrittore? Il passo dalla testa alla mano e dalla mano alla penna non è né breve né scontato. Per tentare di risolvere questo dilemma, un giovane aspirante autore decide di mettere nero su bianco i propri dubbi, inviando una lettera allo scrittore peruviano. Sarà la prima di un intenso scambio epistolare tra maestro e allievo. A ogni quesito sollevato dal giovane lo scrittore risponderà lungamente e con passione, trasformando le lettere in una vera e propria anatomia del romanzo, il cui scopo sovrano è sempre quello di ammaliare il lettore, persuaderlo che ciò che sta leggendo, qualsiasi sia il tema trattato o l’ambientazione descritta, è più reale della realtà che sta vivendo. Per fare ciò, spiega lo scrittore in una delle missive, è necessario che il romanzo sia autosufficiente, dotato cioè di una vita propria, talmente credibile da essere in grado di camminare con le proprie gambe. Ma, se il risultato deve essere fluido, di impatto immediato, convincente, la sua architettura nasconderà stratagemmi imparati con l’esperienza e che lo scrittore interpellato riassume in quattro grandi gruppi che si traducono in vere e proprie sfide: il narratore, lo spazio, il tempo, il livello di realtà. Si parte cioè dal punto di vista di chi racconta la storia, da quell’Io narrante che osserva per conto del lettore e che avrà il compito di svelare la trama da una posizione ben precisa. Sceglierne uno è fondamentale, perché mette in relazione il lettore con il narratore e con la storia che andremo a conoscere, creando un legame che dovrà essere forte. Il narratore potrebbe essere uno dei personaggi, oppure un Io onnisciente, o ancora ambiguo così come il tempo, che all’interno di un romanzo può essere cronologico o psicologico. Ed è su quest’ultimo che si concentrerà l’attenzione del bravo romanziere, che saprà plasmarlo, rallentarlo o accelerarlo senza che il lettore quasi se ne renda conto, trascinandolo con sé nel vortice di emozioni procurate. Il romanzo è una creatura complessa, frutto di tecnica e creatività, un ibrido di difficile spiegazione per cui risulta alla fine impossibile scriverne il manuale di istruzioni. “Nessuno può insegnare a un altro a creare, ma tutt’al più può insegnargli a leggere e scrivere. Il resto, ognuno lo insegna a se stesso inciampando, cadendo e rialzandosi, incessantemente”. E questa è già un’ottima lezione, se imparata. Che si tratti di scrivere un romanzo o di vivere la vita…
“Dal momento che non è possibile essere un romanziere senza avere uno stile coerente e necessario, e lei lo vuole essere, cerchi e trovi il suo stile. Legga moltissimo, perché è impossibile avere un linguaggio ricco, disinvolto senza leggere abbondante e buona lettura e, cerchi, nella misura delle sue forze, poiché non è così facile, di non imitare gli stili dei romanzieri che più ammira e che le hanno insegnato ad amare la letteratura”. Se Gian Luigi Beccaria nel suo saggio Il pozzo e l’ago tenta di rispondere alla domanda del perché si scrive, lo scrittore Mario Vargas Llosa, con il pretesto di soddisfare le domande di un immaginario giovane aspirante scrittore, riflette invece sul come si scriva un romanzo, sezionandolo come fosse un corpo e utilizzando poi la propria esperienza, aneddoti o citazioni di alcuni maestri della letteratura per far capire cosa ci sia dietro le pagine che, pur nel loro spessore sottile, nascondono spesso profondi ragionamenti e macchinamenti costruiti dall’autore per portare il lettore fuori dalla realtà. C’è un’esigenza di fondo che spinge un individuo a riversare nella scrittura parte della propria essenza. Qualcosa che trascende persino la sua volontà. Spesso un autore scrive di certi argomenti non per scelta, ma perché viene scelto dal tema stesso e per questo sarà spinto a raccontare di certi accadimenti che gli sono realmente successi, trasformati e filtrati di modo che, alla fine della lettura, si trasformino in esperienze comuni anche al lettore. L’esigenza di un singolo individuo, dunque, diviene condivisione e mezzo di scambio tra lo scrittore e i lettori e viceversa. Creare un romanzo, secondo lo scrittore peruviano, è come uno striptease alla rovescia. Ovvero, anziché svestire un corpo per sedurre, ciò che si fa scrivendo è coprire poco alla volta una nudità con indumenti sempre più spessi, attraenti e multicolori. Flaubert diceva “scrivere è un modo di vivere”, per farci capire come questa scelta sia una vera e propria vocazione, un cammino che se intrapreso può e deve portare molto lontano da quel punto di partenza e da quella nudità iniziale. Un percorso mai semplice, che va affrontato imparando passo dopo passo da chi ci è già passato, inciampando e rialzandosi.