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Libri - Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)

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Molti personaggi storici dalla pessima reputazione erano grandi lettori di libri: Hitler, Mao Tse-Tung, Khomeini, i vertici stalinisti… Addirittura coloro che ne ordinarono i roghi, dagli inquisitori a Pol Pot, ne avevano a loro volta letti molti. Quindi i libri non rendono migliori. La lettura non rende migliori. E poi bisognerebbe finirla con la retorica e le frasi fatte attorno alla sacralità del leggere perché “per ogni libro degno di essere letto c’è una grande quantità di carta straccia”. Il fatto è che “ci sono libri e libri”. Quindi l’oggetto di per sé non ha alcun valore – se non quello di merce - al di là di ciò che contiene. Abbandonando la retorica sulla lettura, bisognerà comprendere che “leggere è un sacrificio. Leggere non è neppure un piacere. Leggere è pesante, costa fatica e rinunce.” Da cosa sarebbe poi giustificato l’atteggiamento snobistico dei bibliofili nei confronti di videogiochi e reality show? “L’importante non è leggere per leggere, leggere indistintamente o prendere un libro in mano solo perché pacifica la coscienza. Bisogna intendersi su quale libro.”. E poi ammettiamolo, “i libri non hanno mai salvato nessuno”…

Uno dei maggiori pregi del pamphlet Libri è l’assoluta chiarezza d’esposizione. Chiarezza che tuttavia lascia, a tratti, disorientati. Come lasciano disorientati le chiare raccomandazioni dei manuali d’istruzioni degli elettrodomestici quando ammoniscono di non asciugare il gatto nel microonde, di non tagliare i fili elettrici quando sono collegati alla presa o di non cimentarsi nell’installazione d’una parabolica se si è ubriachi o incinte (e l’immagine d’una donna incinta ubriaca appesa al balcone è il primo pensiero evocato). Indiscutibile il fatto che la teoria secondo la quale il libro di per sé non sia un valore o un totem, trova diritto di cittadinanza nell’umano pensiero. E come ogni teoria valida (da Massimo Catalano in poi), quella di Mascheroni assurge a Principio Universale, applicabile in qualsiasi campo. Ragionandoci sopra si può arrivare a comprendere che i dischi, ad esempio, non rappresentino un valore assoluto: dipende dalla musica che contengono, da chi l’ha composta, con che livello di percezione, preparazione e predisposizione la si ascolta e così via, con tutte le complicate variabili sulle quali ragionare. Ed è in gastronomia che lo stesso autore si produce in un eccellente parallelismo con “libri gourmet” (classici), “libri fast food” (bestseller) e “libri tossici” (immangiabili/illeggibili). Anche qui, applicando la Teoria Mascheroni all’Arte del nutrirsi, si può arrivare a considerare che chi afferma di amare i panini dice il falso: un panino col catrame può far male, uno con carote, lime e zenzero potrà entusiasmare un vegano ma c’è un margine di possibilità che uno scaricatore irlandese ve lo scagli con gagliarda e virile vigoria sulla fronte, anche a diversi metri di distanza, dimostrando che la mira acquisita in anni ed anni passati al giuoco delle freccette nei pub può trovare utilizzo anche in campi utili. C’è un punto che potrebbe arricchire, senza confutarne le tesi, il trattato: oltre alla categoria dei libri buoni, di quelli di consumo e di quelli illeggibili, si potrebbe aggiungere quella (e qui il parallelismo col cibo salta) dei libri inutili. Quelli che sarebbe opportuno non scrivere, ma è comunque sconsigliato leggere.