Stati Uniti, anni ’60. La quiete estiva di Mrs. Oedipa Maas viene scossa da una lettera proveniente dallo studio legale Warpe di Los Angeles, firmata da un certo Metzger. È stata nominata esecutrice testamentaria del magnate immobiliare Pierce Inverarity. Suo marito, Wendell “Mucho” Maas, che lavora come disc jockey per la KCUF e si lamenta continuamente di una carriera che non riesce a decollare, non ha la minima idea di cosa sia un’esecuzione testamentaria. L’imprevisto ha comunque portato una tiepida ventata di novità in casa Maas, e Oedipa ha intenzione di partire per San Narciso e scoprire la ragione di quella lettera…
Thomas Pynchon, capostipite della fortunata “dinastia” dei post-modernisti, è uno di quegli autori che hanno il dono di polarizzare le reazioni, costringendoti, in un modo o nell’altro, a parlare di lui. Probabilmente lo schivo e riservato scrittore non se ne cura minimamente, ma il suo è un nome con cui è facile riempirsi la bocca quando si parla di critica letteraria e sono disposto a scommettere che tanto fra i suoi detrattori quanto fra i suoi sostenitori non siano poi così tanti quelli che si sono presi la briga di leggere davvero le sue opere. Troppo complesse, troppo stratificate e allora tanto vale dargli o del genio o del sopravvalutato, a seconda della simpatia/antipatia che suscita nei lettori. Mi ricorda istintivamente Joyce, un altro di quegli autori che polarizzano le reazioni e che in pochi possono dire davvero di aver letto. E allora, continuando su questo parallelismo, possiamo dire che se L’arcobaleno della gravità è un po’ l’ Ulisse di Pynchon, questo L’incanto del lotto 49 è un po’ come se fosse il suo Gente di Dublino, non tanto nella trama o nelle situazioni descritte, quanto nella consapevolezza stilistica che sarà il marchio di fabbrica di tutta la produzione successiva dei due autori. L’universo dell’autore statunitense è instabile e mutevole, solo apparentemente ancorato alla solida gaiezza del sogno americano dalla quale progressivamente si distacca procedendo per labirintiche iperboli narrative. Oedipa, versione femminile e americanizzata dell’eroe tragico sofocleo, non riesce a vedere le trame oscure che si dipanano attorno al suo boccheggiante peregrinare e più si avventura alla ricerca della conoscenza, più sembra addensarsi la melassa complessa e disorientante del romanzo, quasi fosse un’ulteriore difesa del mistero del lotto 49, obliqua impalcatura che sostiene tutta la narrazione. Sulla scena di questo bizzarro dramma si alternano inoltre personaggi sfuggenti e caricaturali, i quali contribuiscono a velare con connotati stranianti l’opera profumandola di traumi post-bellici, angosce tardo-maccartiste e distopie capitaliste. Interpretato da alcuni critici come parodia stessa del post-modernismo o come allegoria per i tanti misteri irrisolti d’America, L’incanto del lotto 49 fu sin dalla sua uscita (1966) un libro di importanza capitale per la letteratura a stelle e strisce, destinato a codificare in maniera ancora più netta i contorni di un genere letterario che può vantare esponenti del calibro di Paul Auster e Don DeLillo.