Il saggio breve ma intenso - l'ultimo della produzione in vita del noto semiologo e filosofo strutturalista francese - prende le mosse da alcuni scatti famosi di fotografi del calibro di Mapplethorpe, Avedon, Klein, Kertész e altri (incluso lo stesso autore) per arrivare a delineare una classificazione di ‘come e cosa’ guardare in una foto. Lo scatto per Barthes è interessante se coesistono lo studium (“una sorta di interessamento, senza particolare intensità”) e il punctum, che infrange grazie a un particolare, una “fatalità”, o un segno, lo studium, come una ferita. Da queste categorie si parte analizzando le foto che più lo hanno colpito, inglobando il ricordo della madre, del Tempo/Morte e del punto di vista di chi scatta, di chi viene scattato e di chi vedrà le foto. In ultima analisi la fotografia è un’arte impalpabile e insondabile, un “medium bizzarro, una nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo, [...] velata di reale”. Il potere di questo mezzo di comunicazione è infinito e se generalizzato può diventare deturpante, ma c’è comunque una via d’uscita. “Pazza o savia? La fotografia può essere l’una o l’altra cosa. [...] Sta a me scegliere se aggiogare il suo spettacolo al codice civilizzato delle illusioni perfette, oppure se affrontare in essa il risveglio dell’intrattabile realtà”. Dal particolare della top-hit personale alla generalizzazione estetica che si trasforma in etica. Un percorso intimo e puntiglioso, una visione che tira in ballo Italo Calvino, Husserl, Lyotard, Morin, Proust e altri grandi pensatori del secolo scorso...
Cos’è una fotografia? Quando scattiamo col cellulare le immagini da far vedere ad amici e conoscenti, cosa facciamo? Mettiamo in moto connessioni tra visione, significato, significante e altri paraphernalia estetici. Come discutere sull’oggetto-foto, oggi che ci pervade, sovrasta, condiziona e martella ovunque? L’immagine è uno dei problemi della critica filosofica di sempre, un terreno di analisi che ha dato origine a tonnellate di libri, riviste, convegni ed opinioni, più o meno quadrate. Ma la fotografia come arte, chi la pratica oggi? Sono sempre di più gli appassionati di scatti selvaggi, galvanizzati anche dalla proliferazione di macchine più o meno professionali che ci permettono di fermare il tempo. Di questa grande massa di nerd o di artistoidi che pubblica migliaia di shot al giorno (non solo su facebook) quanti si sono chiesti se esiste veramente l’oggetto foto? Un’ontologia del frame non è cosa da tutti, e chi meglio di Roland Barthes poteva cimentarsi in un’impresa così titanica?In poco più di cento pagine, un piccolo grande classico di semiotica dell’arte. Non solo per addetti ai lavori.