Genova, autunno 1952. Silvio Arieti, quasi 70enne professore universitario di criminologia in pensione, viene torturato in casa e subisce un infarto, gli incidono alcune frasi fra le scapole, lo sgozzano post mortem ma non rubano niente. Padre di due figli poi partigiani (ammazzati), aveva dovuto giurare fedeltà al fascismo nel 1931 ma era stato sempre considerato un serio liberale, non compromesso col regime, docente e relatore di laurea del 50enne colonnello (partigiano) dei Carabinieri bel Moretto Enrico Anglesio, che, sconvolto, arriva sul posto. L’assassino è ancora nelle cantine, ferisce ma non uccide Anglesio, riesce a fuggire. Un torturatore fascista e altri subiscono efferate esecuzioni, si rinvengono sulla scena del crimine le stesse parole (greco imbastardito da un dialetto pugliese), le regie omicide sembrano essere almeno due. Qualcuno svia le indagini, aggredisce e ostacola Anglesio, che pure ha suoi problemi, sogni, incubi. Continua a pensare alla bella malata (di mente) moglie Laura, scomparsa sette anni prima, volata dritta in curva a soli 33 anni, annegata presunta. E non si cura abbastanza della ricchissima magnifica 25enne Letizia, che lo ama. Rischia la vita…