
La famiglia di Bahar fugge da Teheran verso lo sperduto villaggio di Razan nell’Iran del 1979, dopo che il regime dell’ayatollah Khomeini ha preso il potere e più nessuno può dirsi al sicuro. A rendere assolutamente necessaria la fuga è l’uccisione proprio di Bahar, rimasta intrappolata in un incendio appiccato nel laboratorio di falegnameria in cui suo padre lavorava. Aveva solo tredici anni. Ma più il tempo passa e più la situazione anche a Razan non fa che peggiorare. Sohrab, il fratello maggiore di Bahar, viene catturato e imprigionato dalla polizia con l’accusa di possedere libri che la Repubblica Islamica considera blasfemi e dunque un pericolo. La sua famiglia, che una sera assiste impotente al suo arresto e alla confisca dei libri e altri oggetti personali, resta nell’angosciosa attesa di sapere dove sia stato rinchiuso. Tra tutti i familiari è la madre a sapere per prima che Sohrab non ha alcuna possibilità di riabbracciare i propri cari, eppure la speranza non l’abbandona, finché una notte - risvegliata dal suo sonno - non può più ignorare la consapevolezza che il figlio è stato ucciso...
Un libro onirico, carico di realismo magico e al tempo stesso paradossalmente divertente, in cui il racconto del regime di Khomeini, salito al potere in seguito alla rivoluzione islamica nell’Iran del 1979, non aleggia come un’ombra nera e densa, quanto più come una galleria di eventi drammatici raccontati dagli spiriti di coloro che l’hanno vissuto. La stessa autrice, Shokoofeh Azar, è dovuta emigrare in Australia dove vive con lo status di rifugiata politica ma ha mantenuto un legame molto stretto con la propria tradizione iraniana come si nota anche dal fatto che il libro è stato scritto in persiano. Il romanzo è ricco di riferimenti alla cultura iraniana e alle sue tradizioni, riproposte dagli spiriti di coloro che per la repressione della Repubblica Islamica hanno perso la vita e che tornano, come nel caso della protagonista, per stare accanto alla propria famiglia. Toccanti le pagine in cui le anime dei condannati a morte si riversano tutte insieme nelle strade di Teheran per raggiungere la casa di Khomeini, che era salito al potere in seguito a oceaniche manifestazioni in nome della libertà, contro l’ingerenza degli Stati Uniti e il regime dello Scià - percepito come una dittatura - e a favore dell’avvento di un governo islamico. Purtroppo però il legame tra Islam e potere generò, invece che il tanto desiderato governo moderato che preservasse la cultura iraniana dal “decadimento morale”, un regime fortemente oppressivo che ha radicalizzato le proprie idee e represso con la violenza e leggi liberticide il dissenso tra la popolazione. Quelle anime, racconta Azar, quasi usano i loro affetti e le emozioni dell’esistenza terrena per “vendicarsi”. La ricchezza di contrasti nel romanzo è un filo rosso che unisce tutti i protagonisti e ogni vicenda riportata a galla, mettendo in primo piano la differenza di azione e di pensiero tra coloro che agiscono seguendo le linee guida di Khomeini e le anime dei giustiziati: i primi sono spesso caratterizzati da azioni violente, talvolta brutali e dispotiche, le seconde invece cedono alle proprie emozioni e pur lasciandosi trasportare da queste nel momento in cui la rabbia e il desiderio di vendetta raggiungono l’apice portandoli a un passo dal compiere la propria vendetta, sono frenati dalla bellezza della vita che vedono e che non hanno potuto godersi. Un po’ come se ogni personaggio fosse “grigio”, nessuno completamente buono e nessuno completamente cattivo. Si può ben dire che L’illuminazione del susino selvatico è un romanzo basato sulle scelte e sulla forza delle proprie convinzioni. Decisamente un libro da avere nella propria libreria per tuffarsi nella cultura persiana da una prospettiva diversa rispetto a quella “militante” e/o strettamente cronachistica a cui siamo abituati.