
Steso su una sdraio in attesa della visita del professor Avenarius, il mio sguardo cade su una signora intenta a prendere lezioni di nuoto in piscina. La donna, sui sessant’anni, ascolta con l’attenzione di uno scolaro gli insegnamenti del giovane maestro e cerca di riprodurre – senza grandi risultati – le tecniche corrette. Conquistato da quella visione attendo che esca dall’acqua e, vedendola allontanarsi con celere grazia, vengo rapito dal suo sorriso, più vicino alla candida innocenza della fanciullezza che al grigiore dei pensieri di una vita che si sta approssimando alla vecchiaia. Il fascino e l’eleganza facevano dimenticare la bellezza sfiorita e io, per tutto il resto del tempo trascorso lì, non feci altro che pensare a lei…
La Boemia, diamante mitteleuropeo al confine tra gli slanci romantici della cultura tedesca e il fervido potere immaginifico della letteratura russa, è la terra natale di Milan Kundera. A questa dicotomia di umori letterari particolare ma certo non unica si unisce il suo trasferimento in Francia, frontiera della perfezione stilistica e formale. Sono queste le tre anime letterarie che convivono ne L’immortalità e, più in generale, in gran parte della produzione di un autore considerato fra i più importanti del secondo Dopoguerra. Opera di difficile catalogazione, L’immortalità racchiude in sé i tratti del romanzo in quanto è evidente che i personaggi si muovano, pur senza organicità, sulla scacchiera di una trama che abbraccia tutto il corpus del libro, ma presenta sovente degli intermezzi dal deciso gusto saggistico che spezzano, con garbo e mai con ineleganza, l’intreccio. Suddiviso in capitoli riguardanti diversi aspetti del sentire umano, il lavoro di Kundera porta il lettore in una dimensione sospesa tra reale e irreale in cui il confine tra storia e metastoria è tracciato dal rapporto tra piccola e grande immortalità, vale a dire quella riservata al buon ricordo di sé tra i propri cari e quella riservata al più ampio ricordo dei posteri. Come spesso accade, l’autore ceco scandaglia l’animo umano come un caleidoscopio di gioie e inquietudini, affrontando con leggerezza ma mai con superficialità, tematiche come il passare del tempo, il sesso, la passione e l’amore e dando voce e corpo anche alla sua smisurata passione per la letteratura e per la musica, che lo ha portato a far “partecipare” a quest’opera figure come Goethe, Beethoven, Hemingway e Mahler. Ogni tanto si rischia di perdersi nella densità (talvolta un po’ forzata e autoreferenziale) delle riflessioni, ma L’immortalità rappresenta senza ombra di dubbio una delle migliori prove di Kundera.