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Limonov

Limonov

Quando il piccolo Eduard viene sorpreso a succhiare beatamente una coda di aringa al posto del ciuccio, “Bravo!” gli dice il padre, “si troverà bene dappertutto!”. Sarà questa la fortuna di Eduard Limonov, dall’infanzia in Ucraina ai soggiorni a New York e a Parigi, passando dalla Serbia per fare la guerra e rimanendo più o meno in pianta stabile in Russia. Figlio di un ufficiale dell’NKVD, la polizia politica, e di una donna dura e autoritaria, Eduard lega innanzitutto con le bande di teppisti dell’estrema periferia di Char’kov, i quali considerano eroi i criminali, soprattutto quelli che rispettano le leggi del gruppo e sanno uccidere e morire. Ma Limonov non è fatto per essere un delinquente comune: vuole diventare il re del crimine. In ogni suo progetto c’è l’aspirazione a essere il migliore. A 14 anni vince un concorso di poesia: in quegli anni va a lavorare in fabbrica, e tenta il suicidio per una delusione d’amore, finendo, grazie all’aiuto materno, in un ospedale psichiatrico. Un lavoro come libraio, ed entra a far parte dell’ambiente degli artisti: conosce Anna, una matrona pazza e poco attraente che ciononostante sposa e con la quale si trasferirà a Mosca. Qui seguirà un seminario di poesia di Arsenij Tarkovskij, scoprirà di avere talento come sarto, e comincerà a sparare a zero su tutti gli scrittori di successo del momento, a partire da Solženicyn, disprezzato per la determinazione e il coraggio disumani. Insieme alla nuova moglie, Tanja, di una bellezza aristocratica e inaccessibile, Eduard si trasferisce a New York. “Chissà se faremo mai ritorno in Unione Sovietica”, pensa, ma questo non lo scoraggia e si rimette in gioco. Qui, grazie a qualche influente contatto, tra cui quello di Brodskij che Limonov ovviamente disprezza, i due vengono introdotti nel jet set. Ma Tanja non sfonderà mai come modella, e lui sarà solo un giornalista di un quotidiano russo per esuli. Lei lo lascia e lui si prende una di quelle sbronze colossali che durano una settimana, chiamate dai russi zapoj. Si abbandona anche a nuove esperienze omosessuali con ragazzoni di colore. La pubblicazione in Francia del suo manoscritto Io, Edička, avvenuta appunto con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri, lo porta a Parigi. Scrive con fervore e disciplina, ma la fama che tanto sogna stenta ad arrivare. Come se non bastasse, Brodskij ha appena vinto il premio Nobel. A Mosca pubblica L’epoca gloriosa, il libro sulla propria infanzia, e contesta Gorbacëv e la sua politica di trasparenza. Un manipolo di soldati serbi lo invita a prendere parte alla guerra in difesa della Repubblica di Slavonia: ha quasi cinquant’anni, e non ha mai provato la guerra. Accetta. Poi si lega a un gruppo di nostalgici comunisti nazionalisti, membri del partito nazionalbolscevico, ovvero i nazbol. Catturato e condotto prima in prigione (il ministro della Giustizia era stato chiaro: il partito dei nazbol doveva scomparire), poi in un campo di lavoro, Limonov mette alla prova la sua forza di spirito in quattro anni di reclusione, e ne esce vincitore…

Si può non essere d’accordo con le sue idee e il modo in cui le esprime, si può non approvare il suo egotismo e il suo atteggiamento provocatorio, lo si può criticare per il disprezzo che nutriva nei confronti di quelli che ce l’avevano fatta, sempre in competizione con tutti. Ma non si può non ammirare un uomo che ha toccato il fondo più volte e si è sempre rialzato, si è sempre rimesso in cammino. Emmanuel Carrère racconta questo eroe/antieroe russo e parla di sé confrontando esperienze, commentando la produzione letteraria di Limonov e le sue scelte di vita. Con immagini vivide, spesso cinematografiche, dipinge il ritratto di un uomo che ha voluto vivere ‘oltre’ rimanendo fedele a se stesso, e non si è mai tirato indietro qualunque fosse il prezzo da pagare. Eduard Limonov è uno di quelli che è esattamente dove dovrebbe essere. Non a caso ha affermato: “Appartengo a quella categoria di persone che non si sentono perdute in nessun luogo”.