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L’imperatore del male

L’imperatore del male

19 maggio 2004. La maestra d’asilo Carla Reed non si sente affatto bene da quasi un mese. Strani lividi sula schiena, gengive biancastre, dolori alle ossa, una stanchezza terribile, un sonno invincibile. Il suo medico di famiglia brancola nel buio, e non va oltre vaghe rassicurazioni. Alla fine, preoccupatissima, Carla pretende un esame del sangue. Sin dal prelievo, pare evidente che qualcosa non va: il sangue della donna è pallido, rosato, acquoso. La diagnosi è impietosa: leucemia. La Reed viene ricoverata d’urgenza al Massachusetts General Hospital di Boston, e affidata alla cure dello specializzando in Oncologia Siddhartha Mukherjee. Il giovane medico viene da una carriera accademica brillante, è borsista da 10 mesi ed è considerato un professionista molto promettente, ma è sull’orlo del collasso psicologico: il pensiero del cancro col suo carico di angoscia, paure, senso di impotenza, morte ha invaso ogni aspetto della sua vita. Mentre si avvia su per le scale per incontrare per la prima volta la sua nuova paziente e spiegarle che l’aspetta un terribile ciclo di chemioterapia che potrebbe persino ucciderla, Siddhartha ripete a se stesso per l’ennesima volta alcune domande che da qualche tempo lo tormentano: quanti anni ha il cancro? Perché gli accenni a questa malattia sui documenti antichi sono così rari? È possibile che sia una malattia della modernità, che l’incidenza sia cresciuta mostruosamente nei secoli o c’è qualcosa che ci sfugge? Quali sono state le tappe della nostra guerra contro questa malattia? È una guerra che possiamo vincere? E come?

Nessuna malattia come il cancro ‒ che poi non è una sola malattia, ma tantissime ognuna diversa dall’altra ‒ ha assunto nei secoli una valenza metaforica, una carica simbolica così potente. Nessuna malattia, per quanto letale, è ugualmente temuta, tanto che si è ingenerato il fenomeno unico di una patologia che suscita talmente tanto terrore da non essere neanche nominata, spesso nemmeno dalle fonti di informazione ufficiali (quante volte abbiamo sentito di un personaggio pubblico morto “per un male incurabile” ‒ quale? ‒ o “dopo aver lottato contro una lunga malattia” ‒ quale?). Nessuna malattia ha una storia tanto vasta quanto sfuggente. Una storia che questa monumentale biografia tenta di raccontare: a metà tra un diario dei due anni di specializzazione in Oncologia ed Ematologia dell’autore e il racconto in forma aneddotica dell’evoluzione del trattamento farmacologico e chirurgico dei tumori dal XIX secolo a oggi, L’imperatore del male si è aggiudicato più che meritatamente il Premio Pulitzer 2011 nella categoria non fiction. Siddhartha Mukherjee ‒ che oggi insegna Medicina alla Columbia University ‒ ha spiegato che l’impulso a scrivere il libro gli è venuto dalle domande che gli faceva continuamente una sua paziente, affetta da un tumore allo stomaco: “Sono pronta a combattere”, diceva la donna, “ma prima vorrei conoscere il mio nemico”. L’imbarazzo con cui il medico si è reso conto di non saper esattamente spiegare cos’è in termini generali il cancro lo ha spinto a fare ricerche, a documentarsi: “La mia urgenza era poter finalmente rispondere alla domanda della mia paziente”, ha spiegato. Ha senso scrivere un saggio sul cancro come se fosse la biografia di una sorta di divinità, con una sua personalità, con i suoi capricci, con i suoi misteri, con la sua violenza? A quanto pare sì, ed è un approccio che dona un indubbio fascino alla lettura. Chi conosce almeno un po’ di storia della Medicina e sa perfettamente cos’è un trial randomizzato in doppio cieco non scoprirà molto di nuovo leggendo questo monumentale saggio di oltre 700 pagine, ma per un profano potrebbe trattarsi di una vera e propria epifania: grazie allo stile piano e alla eccellente capacità divulgativa di Mukherjee anche i concetti più ostici appaiono comprensibilissimi, i luoghi comuni e i pregiudizi svaniscono come neve al sole e ci si ritrova più informati e più forti di prima. Che il nemico è ancora ben lungi dall’essere sconfitto.