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L’incanto e il disinganno: Leopardi

L’incanto e il disinganno: Leopardi

Recanati, 1798–1837. Quella di Giacomo Leopardi è una filosofia autentica, vissuta sofferta cantata articolata. Nei Canti, nei Pensieri, nello Zibaldone, nelle Operette Morali egli mostra una chiara (malinconica) visione della realtà: il mondo non è stato creato apposta per la specie umana, la natura si guarda bene dal mantenere le promesse che noi intuiamo e per le quali ci illudiamo, l’essere umano gode del (discutibile) privilegio del tedio o disagio esistenziale. Pur essendo vissuto prima di Darwin e delle sue ottime osservazioni e considerazioni biologiche, Leopardi insistette con acume razionale, sensoriale e poetico sul fatto che siamo solo una delle tante specie viventi in “natura”, comprimari dunque e inevitabilmente “traditi” dal vivere, chiamando spesso “male” solo ciò che non corrisponde alle aspettative individuali, via via più consapevoli dopo le nebbie mentali dell’infanzia in cui tutto pare gradevole e ragionevole (non ovunque, non per tutti). Fu capace di affrontare con lucidità e poesia coerenti il rapporto fra materia e spirito, la problematica del tempo, la sorpresa della parola e l’arte della fuga. E amò molto la scienza e la laica coscienza della propria finitezza. Risale al 1813 l’autografo (non era ancora quindicenne) della mirabile Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, “la più sublime, la più nobile fra le Fisiche scienze”, in cui esaminò rigorosamente anche i calendari del matematico Gaio Giulio Cesare e poi del pontefice Gregorio XIII; e trattò credenze e scoperte, teorie e personalità (da Platone a Tolomeo, da Copernico a Galileo, da Cartesio a Newton) poi ricorrenti in tutti i suoi scritti, dando abbrivio a quel noto scientifico poetico relativismo, contro la pretesa assolutezza di qualsiasi dottrina, anche religiosa. E senza negarsi l’infinita gioiosa possibilità come unica, struggente, indomita necessità…

I milanesi Edoardo Boncinelli (Rodi, 1941, genetista) e Giulio Giorello (Milano, 1945, epistemologo) sono due grandi intellettuali europei, già capaci di dialogare e scrivere insieme. Alla vigilia degli anniversari leopardiani (180° dalla morte e 220° dalla nascita) consegnano alle stampe un interessante volume con due saggi scritti nello stile dei loro frequenti contributi su riviste e inserti culturali: L’uomo e la natura. Leopardi e la filosofia lo scienziato, Desiderio d’infinito. Leopardi e la scienza il filosofo della scienza. Nessuna pedante trattazione sistematica, con note e rassegne critiche degli studi: piuttosto una colta scrittura agile e gradevole, narrazione chiara e pungente (non l’inizio del secondo saggio), lunghe stimolanti citazioni di Leopardi, insomma una reinterpretazione originale del “favoloso giovane” recanatese, densa di riferimenti ai temi filosofici e scientifici di cui si parla oggi, sottolineando la “tendenza malinconica”, antidialettica. Non del tutto convincenti sono semmai le scelte dei due studiosi “agganciati”: Luporini per la filosofia (negativamente), Timpanaro per la scienza (positivamente). È buono e giusto sbeffeggiare i progressisti “razionalizzanti”, tuttavia nel 1947 si usciva da fascismo e guerra, si doveva superare la lettura calligrafica crociana di Leopardi e ci si doveva confrontare con le spiegazioni “romantiche”, molto e molti altri andrebbero criticati, tanta acqua è poi passata sotto i ponti. È buono e giusto osannare lo straordinario filologo marxista (fiorentino d’adozione), tuttavia il rigore critico spesso si accompagnava a una prospettiva militante che giunse a definire Leopardi “verde” ai primi tempi dei “Grünen” tedeschi. Del resto, Luporini e Timpanaro (e Binni) vengono spesso trattati all’interno di un unitario nuovo corso della critica leopardiana, tanti decenni fa. Poi molto si è ragionato sugli aspetti filosofici e scientifici. Boncinelli e Giorello aggiungono qualcosa di utile, anche nel dialogo che chiude il volume, “oltre il poeta romantico”, natura ironia e sentimenti come strumenti di conoscenza.