
Il bar Piccolino sta a cento metri dalla procura e lo gestisce Livio, l’unico essere umano che il pubblico ministero Paolo Santarelli consideri suo amico. A guardarlo – un ammasso di muscoli e carattere scontroso – non si direbbe affatto, ma Livio è riuscito a creare con Santarelli un legame solido, che ha bisogno di poche parole, ma si mostra resistente e profondo. Ed è proprio Livio la meta di Paolo, che è appena entrato nel bar dell’amico e gli sta proponendo un piatto di cacio e pepe per la cena. Il barista, però, teme che al PM non sarà possibile onorare l’appuntamento, perché con tutta probabilità tra non molto riceverà una telefonata che sconvolgerà tutti i suoi piani. La telefonata non arriva, perché Santarelli ha dimenticato il telefono in ufficio, ma Livio lo aggiorna: hanno appena sparato a Gianluca Romano, ferendolo a morte. L’omicidio è avvenuto in una piazzola sul lungomare di Rio Martino. I Romano sono rom stanziali, una famiglia di malavitosi che detiene il monopolio di spaccio, usura ed estorsioni della zona. Dopo un veloce passaggio in ufficio e una corsa in auto, Santarelli nota che sul luogo del delitto l’unica auto presente, priva di lampeggianti, è una Bmw. Si tratta sicuramente del mezzo guidato dal cadavere prima di diventare tale. Il giovane Romano è riverso a faccia in giù, in un lago di sangue. Ha i capelli rasati, le braccia tatuate e gli occhi spalancati. Il medico legale ancora non si vede. Arrivano invece tre Suv, che si fermano in mezzo alla strada e scaricano una decina di persone, uomini e donne di ogni età e con i lineamenti che contraddistinguono i componenti del clan Romano. Diversi poliziotti si schierano a protezione della scena del crimine, mentre Santarelli si augura che il medico legale, l’unico che possa autorizzare la rimozione del cadavere, arrivi in fretta. Sa per certo, il PM, che è solo questione di minuti, prima che si scateni il caos...
Quando si ha la stoffa e si sanno padroneggiare i meccanismi della narrativa, allora si riesce a trasformare una notizia di cronaca in un vero e proprio giallo, che scivola nel terreno del noir e insinua nella mente del lettore mille interrogativi. Giorgio Bastonini – commercialista per professione, ma abilissimo artigiano della parola – torna con il pubblico ministero sui generis già protagonista dei suoi precedenti lavori. E fa di nuovo centro. Paolo Santarelli si muove in sella alla sua bici, o a scalcagnati motorini presi in prestito, veste in modo informale, fischietta per strada e ha come migliore amico un barista ex pregiudicato. È un tipo piuttosto singolare, quindi, acuto e scaltro sul lavoro, ma assolutamente imbranato quando si parla di vita privata e, soprattutto, di rapporti amorosi. E, se è vero che i personaggi imperfetti sono quelli che il pubblico preferisce, ecco spiegato il motivo per cui Santarelli scatena una simpatia immediata nel lettore, che non può fare a meno di tifare per lui, mentre cerca conferme nel suo rapporto con Barbara e, intanto, smaschera l’autore o gli autori di un omicidio, anzi due. Ma il PM non si limita a questo. Santarelli si interroga, vuole capire perché, si fa mille domande e vuole arrivare al nocciolo delle situazioni, alla ricerca di risposte che lo aiutino a comprendere meglio, per quanto possibile, la complessa natura umana. E l’incertezza della rana, specie della dow-kiet, che se la spassa felice nella foresta amazzonica tra Brasile e Perù, diventa il pretesto attraverso cui Bastonini crea un intreccio particolarmente avvincente, che gli consente anche di raccontare l’esistenza umana, spesso indecisa e, appunto, incerta. Una lettura avvincente, consigliata agli amanti del genere e a chi intenda seguire l’ottimo consiglio di Bastonini, riportato nelle note finali del romanzo: “gli spyware, purtroppo, esistono realmente e rendono internet insicuro. Per cui, è meglio navigare meno e leggere di più”.