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L’incredibile viaggio di Albert l’ornitorinco che voleva conoscere il mondo

L’incredibile viaggio di Albert l’ornitorinco che voleva conoscere il mondo

C’è una vecchia linea ferroviaria i cui binari corrono da Adelaide, in Australia meridionale, fino ad Alice Springs nel Territorio del Nord. Per molti anni, i passeggeri di ogni treno che transitava di lì nel suo viaggio di millecinquecento e passa chilometri tra le due città hanno gettato dal finestrino bottiglie di birra vuote, in un paesaggio ai loro occhi privo d’importanza. Le bottiglie rotte accumulate lungo il manto stradale nel percorso da Adelaide ad Alice Springs sono diventate una striscia luccicante di cocci di vetro. Ad Alice Springs la ferrovia prosegue, da sud verso nord, seguendo una linea diritta e quasi del tutto priva di tentennamenti attraverso il centro del continente, superando le città di Tennant Creek e Katherine. I binari corrono paralleli a una strada ampliata molti anni prima per portare materiale bellico da Alice Springs, nel centro del paese, a Darwin, sulla costa nord. La guerra si è allontanata pian piano da Darwin per giungere a conclusione in altre zone del Pacifico, e il traffico lungo questa strada si è ridotto quasi a zero. Ci è voluto quasi l’arco di un’altra generazione per ultimare i millequattrocento chilometri finali di binari da Alice Springs alla costa. A nord di Alice, la ferrovia scompare in una serie di catene montuose che tagliano il centro del continente. Oltre le montagne si apre un deserto rosso. Ci sono sentieri nel deserto in cui la misera erba è stata calpestata dagli animali di passaggio fino a scomparire. A differenza della ferrovia, i sentieri non seguono una direzione precisa. Girano e rigirano senza meta attraverso le pianure, salgono e ridiscendono le sponde dei fiumi in secca, puntando verso direzioni sconosciute. L’età di queste piste è impossibile da determinare, perché l’erba ricresce lentamente in queste parti d’Australia. Un giorno molto dopo la guerra, di prima mattina, una piccola sagoma cammina lenta lungo una di quelle piste tortuose, in un punto imprecisato a est di Tennant Creek. A guardarlo più da vicino, l’animale non sembra diverso dal resto della sua specie. Alto una sessantina di centimetri, coperto di un pelo corto e bruno. Trascina per terra una coda corta e folta, quando cammina eretto, mentre nel punto in cui ogni altro animale avrebbe avuto il naso c’era un becco, simile a quello di un’anatra. L’unica cosa che distingue Albert da tutti gli altri ornitorinchi è il fatto di portare con sé una bottiglia vuota di bibita gassata. È il possesso di quell’oggetto, insieme al fatto di trovarsi centinaia di chilometri a nord di qualsiasi corso d’acqua, a renderlo diverso. Albert è sgattaiolato via dalla stazione ferroviaria di Tennant Creek, addentrandosi nel deserto, tre notti prima. Il primo giorno, una volta lasciata la stazione, ha seguito la linea dei binari. Nel tardo pomeriggio è passato un treno e Albert si è nascosto in un cespuglio vicino alla massicciata. Nessuno l’ha visto, ma c’è mancato poco che lo colpisse una bottiglia mezzo piena di Melbourne Bitter, lanciata da un vagone di seconda classe. Dopodiché, Albert si è tenuto a distanza dai binari. Da lì ha seguito una rotta parallela alla strada, direzione nord, per i due giorni successivi, perché senza quel riferimento Albert si sarebbe sentito perduto al di là di ogni speranza. Così, invece, è solo confuso. Il problema è che Albert non ha idea di dove stia andando né di cosa stia cercando di preciso. I racconti, nel migliore dei casi, erano vaghi... da qualche parte nel deserto... un posto dove esiste ancora l’Australia di una volta... proseguire verso nord... la Terra Promessa. Quelle descrizioni a Adelaide sono efficaci, ma inutili in un deserto dove tutto sembra uguale in ogni direzione…

Quando si pensa alla natura di norma vengono alla mente immagini di terre sconfinate, incontaminate, in cui i prati sono verdi e rigogliosi, gli alberi pieni di fronde, di fiori e di frutti, gli animali, in particolare quelli selvatici, quelli che non associamo a realtà domestiche, come i cani, i gatti o il bestiame da cortile o da allevamento, che compie le sue piccole scorribande nelle campagne, dove è comunque evidente l’intervento dell’uomo, vivono liberi, senza confini o barriere. Ma capita molto spesso che ci siano invece degli animali che trascorrono le loro esistenze, in parte o per intero, in cattività, per esempio nei giardini zoologici, bioparchi o zoo che dir si voglia, a seconda della dose di politicamente corretto. E il più delle volte, anche se forse i succitati zoo sono l’unico modo per far sì che per esempio i bambini possano venire in contatto con una natura che altrimenti non potrebbero probabilmente mai conoscere in modo diretto, vedere gli animali nei recinti è una cosa che stringe il cuore. Per questo è diventato una sorta di topos letterario, e anche cinematografico, soprattutto nelle pellicole d’animazione, il racconto delle fughe: siano pinguini del Madagascar piuttosto svitati o, come in questo caso, ornitorinchi dal cuore d’oro, gli animali in questione, decisamente antropomorfizzati, diventano, a loro modo, eroi dell’autodeterminazione. Desiderosi di libertà, in cerca del proprio destino, del quale essere finalmente padroni, incappano in mille avventure e disavventure, da cui riemergono sempre più forti di prima, meno tremebondi e più consapevoli, più coraggiosi, disposti ad accettare l’altro, la diversità, le sorprese della vita. Albert è gentile, e per l’appunto è un ornitorinco, l’animale, dal buffo e simpatico muso d’anatra, proverbialmente più strano che ci sia: è un mammifero, è semiacquatico e depone le uova, ha piedi palmati, pelliccia, coda piatta, ossa aggiuntive, temperatura corporea bassa e cammina come un rettile. Insomma, unico e inconfondibile. Secondo una leggenda aborigena è il frutto dell’amore mitologico e un po’ violento tra un’anatra e un topo d’acqua che, come Zeus con Europa e molte altre, la rapisce e feconda. È la perfetta metafora per la complicazione delle classificazioni: i filosofi lo adorano, Umberto Eco lo faceva parlare addirittura con Kant! Gli ornitorinchi vivono in Australia (e Tasmania), e Albert non fa eccezione: abita ad Adelaide. In uno zoo. Da cui vuole scappare: il nuovissimo continente è la terra della libertà (benché sia nata come colonia penale…), è assurdo che lui non la conosca. Ma quando arriva per strada, nel bush (che forse i più conoscono giusto per Le sorelle McLeod…), da solo, accompagnato esclusivamente da una bottiglia vuota, le cose si complicano. Vombati piromani, bandicoot col gomito sempre alzato, canguri, dingo, diavoli della Tasmania: insomma, di tutto e di più. E Albert affronta tutto questo e molto altro: scopre di essere un portento, di sapersela cavare, si accorge che le vie del Signore sono infinite, e probabilmente anche quelle degli ornitorinchi, perché più la strada è aggrovigliata e i compagni di viaggio sono fuori dalle righe più il destino si presenta di fronte a te col suo carico di belle sorprese. Howard L. Anderson ha fatto di tutto nella vita: ha volato con un battaglione di elicotteri di attacco in Vietnam, ha lavorato su un peschereccio in Alaska, nelle acciaierie di Pittsburgh, come camionista a Houston e come sceneggiatore a Hollywood. Ora difende, come avvocato ad Albuquerque e dintorni, cittadini messicani accusati di crimini negli Stati Uniti (viene in mente Per una vita migliore, col formidabile Demián Bichir): e ha scritto un libro bellissimo, per bambini di ogni età, fresco, trascinante, palpitante, appassionante, irresistibile, divertente davvero, con descrizioni vividissime, personaggi splendidi e un messaggio di coerenza, dignità, lealtà, amicizia e ottimismo che fa bene all’anima.