
Richard Tull si sveglia, accanto alla moglie, con addosso una stanchezza immensa e le lacrime agli occhi. “Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono Niente. Non è niente. Solo un sogno triste. O qualcosa del genere…”. Sta per compiere quarant’anni, è ossessionato dal desiderio di sfondare nel mondo letterario con un nuovo (stranissimo) romanzo, il cui titolo provvisorio è Senza titolo. I primi due libri sono andati anche bene, un successo di critica e di pubblico, il successivo sembra una prova del fuoco. Non lo aiutano la moglie, sposata perché considerata la sua “ossessione sessuale”, e nemmeno i due impegnativi figli gemelli. Intanto sopravvive recensendo libri a più non posso. Gwyn Barry, invece, gli anni li compie proprio quel giorno. A confermarlo una di quelle notizie che riempiono le pagine di costume del giornale, con tanto di foto accanto alla moglie, Lady Demeter. Potrebbero essere due assurdi gemelli separati da un solo giorno, Richard e Gwyn, ma sono solo amici. E sono entrambi scrittori. Il libro di Gwyn, però, ha un successo strepitoso e accumula “all’impazzata” edizioni diverse, traduzioni, ristampe. Da amici, i due si scrutano: c’è chi annusa l’invidia, rimugina sul fallimento, trama indicibili vendette. E, nel frattempo, si insinua “l’informazione”, qualcosa che cresce, incombe. E la fisica, la realtà del mondo come lo conosciamo, irrompe per fornire illuminazioni, nel bene e nel male…
Probabilmente, il libro che ogni scrittore, o chiunque ben intenzionato a diventarlo, dovrebbe leggere. Per capire che “scrive come un dio” non sempre si traduce in un giudizio altrettanto positivo sul suo carattere, per esempio. Circola molto, sui social e sulle magliette per lettori, la famosa citazione da Il giovane Holden: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Se dovesse capitarci di telefonare a uno dei due protagonisti, scrittori, de L’informazione, certamente non ne verrebbe fuori una chiacchierata cordiale e promettente. Risentimenti, invidie, scorrettezze più o meno manifeste: la società letteraria (non solo londinese) anni Novanta o giù di lì, potrebbe essere così sintetizzata. Non che oggi sia diverso. Il capitalismo, anche nell’editoria, prevale e costringe a meschinità non dissimili. La rivalità, genuina e aperta appunto, fra due amici-nemici risulta, alla fine, ben più leale e degna di essere vissuta. E comunque, sì: Martin Amis, scomparso nel maggio 2023 a 73 anni, scriveva da dio. Nello svolgersi della vicenda, capitano quelle pagine talmente dense di humor da scatenare una risata anche se si è soli, annoiati e demotivati. Gwyn, per esempio, è uno di quegli scrittori che pensa costantemente all’immagine che può e deve dare di sé. Mostrando un laboratorio con pialle, scalpelli, seghe, “in un’intervista aveva detto - o gli era stato fatto notare che aveva detto - di avere sempre paragonato l’arte della narrativa all’arte della falegnameria”. Davvero si era messo a lavorare il legno, meditando, nel frattempo, sugli sviluppi dei personaggi e sugli intrecci di trama da sciogliere? Macché. Il laboratorio da falegname, effettivamente, esisteva, ma “avevo solo paura che qualche intervistatore mi chiedesse di vedere il posto dove mi dedico ai lavori manuali. Guarda. Ho persino comprato questo sgabello fatto a mano per poter dire che l’ho fatto io. (…) Mi sono persino tagliato una mano”.