
Parigi, notte del 27 giugno 1975. Georges Gerfaut ha meno di quarant’anni, bel viso pallido, capelli biondi, occhi azzurri, non alto, moglie e due figlie amate; infanzia agiata, di sinistra da giovane, è proprio in carriera, appassionato di scacchi (per corrispondenza), quadro intermedio in una società; paziente e servile, inoffensivo e meticoloso, beve e fuma, gira in Mercedes, appare potenzialmente disadattato (forse come tutti). Quella sera, mentre sta ordinariamente tornando a casa dal lavoro, oltre l’orario previsto, vede e soccorre il ferito di un incidente, lo lascia all’ospedale e si trova poi improvvisamente travolto da una pericolosa vicenda quasi sudamericana, trascorrerà undici mesi da incubo...
Uno splendido volume di ampio formato e oltre 350 pagine, perlopiù piene di bellissime tavole in bianco e nero, ecco l’integrale collaborazione fra due grandi personalità letterarie francesi, quattro storie a quattro mani, la prima sincronicamente, le altre tre diacronicamente. Piccolo blues è una grande storia, variante francese dell’essere scaraventati in violente straordinarie avventure di fuga per sopravvivere e svolta di vita: minacciati, mirati, braccati, colpiti, malmenati, ancora e ancora, vittime e vendicatori, come in un’altra esistenza, in attesa di perire o tornare. Jean-Patrick Manchette (1942-1995) la scrisse nel 1977 (Le petit bleu de la côte ouest), quando aveva già lasciato il segno nella storia della letteratura noir; Einaudi la pubblicò nel 2002 (tradotta da Luigi Bernardi), proseguendo nella riscoperta di uno splendido autore (pure sceneggiatore, critico, traduttore, jazzista). Le collaborazioni di Manchette sono numerose, breve profonda fertile fu quella col poco più giovane fumettista Jacques Tardi (1946). Iniziarono nel 1977, pubblicando a episodi già a ottobre sull’hebdo settimanale della BD il thriller rapido con il consulente legale e investigatore improvvisato Griffu. Seguirono tre adattamenti di atmosfere e personaggi dopo la morte di Manchette: appunto l’uomo del blues di classe, che s’avvia e finisce lungo l’anello del boulevard périphérique percorso a 145 km/h (simbolo della vita del protagonista, che turbina in tondo); l’innamorato mercenario killer Terrier nella mitica Posizione di tiro (Position du tireur couché, un romanzo del 1981, tradotto in italiano dapprima nel 1992) e la Pazza da uccidere (Folle à tuer, un romanzo del 1972, tradotto da Einaudi solo nel 2005). L’edizione è stata ovviamente curata da Tardi, che firma tutte le tavole e quattro brevi introduzioni ai singoli testi, oltre alla prima delle due note finali, Tardi- Manchette: “il noir è letteratura popolare che, con il pretesto di raccontare storie accattivanti, permette di introdurre elementi suscettibili di far riflettere il lettore. Mi trovo totalmente in linea con questa prassi anche per quel che riguarda il fumetto... Quando adatto Manchette, non cambio niente”. Lavorarono insieme a lungo in un bistrot, Manchette stava scrivendo il romanzo Fatale, volevano uscire in contemporanea col fumetto disegnato da Tardi. Vennero fuori subito 21 tavole (della sessantina che erano previste), ma poi si interruppero per realizzare Griffu, che terminarono presto con successo. Le tavole rimasero incomplete e inedite, non le ripresero, non si rivedettero più e ciascuno lavorò ai propri separati progetti. Le ritroviamo qui, frenetiche, insieme all’unica tavola del tentativo di adattamento del romanzo Nada, prima della seconda nota finale su Manchette-Tardi dell’esperto critico François Guérif, editore e ideatore della collana Rivage Noir: “La forza delle tematiche di Manchette, l’acume della sua visione, la ruvidità dei suoi personaggi, Tardi le fa proprie... grazie a una sceneggiatura minuziosa che sottolinea l’importanza e l’asprezza di ogni scena”. Guérif si concentra soprattutto sulla bio- bibliografia del “provocatore” Manchette (un autore di cui in italiano c’è ormai tutto e che andrebbe letto davvero tutto), capace di riutilizzare il classico genere giallo, le strutture logore e i personaggi archetipici, “attraverso la critica, l’esagerazione, la deformazione... per dire al pubblico quelle cose che, magari, non vorrebbe sentirsi dire”.