
Scorrendo sui registri i nomi dei colleghi che l’hanno preceduta nell’ispezione dell’ascensore al 125 di Walker Street, Lila Mae ha un brivido. Le sigle più recenti – LMT, MG, BP, JW – rimandano a colleghi ancora in servizio, gente esperta ma dai modi volgari, tutti bianchi, tutti con il taglio di capelli regolamentare (o quel che ne resta, nel caso dei calvi), “un taglio rispettabile, consono a uomini dotati di senso del dovere e della responsabilità. Un taglio di capelli che è un incidente calcolato e grida onore, fedeltà, fratellanza fino alla morte”. Lila Mae invece ha le treccine che “le racchiudono la faccia rotonda come mille dita fameliche”, ma i colleghi più anziani non la osteggiano per questo, a dire il vero. Lo fanno perché è donna, giovane, nera e soprattutto “intuizionista”, cioè aderisce alla fazione della Corporazione degli ispettori di ascensori che utilizza una tecnica rivoluzionaria basata sulla deduzione e su di una sorta di percezione extrasensoriale, contrapposta da sempre alla fazione dominante degli “empiristi”, che utilizzano metodi tradizionali per individuare i guasti degli ascensori. Il 125 di Walker Street è all’estrema periferia della città, vicino al fiume inquinato. Nell’atrio del palazzo c’è puzza di grasso bruciacchiato, metà delle plafoniere sono inservibili. Il sovrintendente vorrebbe mostrarle la sala macchine dell’ascensore per individuare il guasto, ma Lila Mae non risponde. Si appoggia alla parete dorsale dell’ascensore e ne ascolta le vibrazioni: le sembra quasi di vederle. “Schiacci il 12”, dice all’uomo. Lila Mae chiude gli occhi, trasforma i rumori in immagini. Mentre l’ascensore raggiunge il pianerottolo del quinto piano, la ragazza capisce il problema, lo vede nella mente. “Devo segnalare un difetto le limitatore per eccesso di velocità”, spiega al sovrintendente del palazzo. Lui è confuso: “Ma non ha neanche guardato. Non l’ha visto”…
Quando nel finale Lila Mae Watson, avendo decifrato quasi del tutto il messaggio del terzo volume di Teoretica degli Ascensori, il manuale/manifesto/libro sacro di James Fulton, il fondatore dell’Intuizionismo, si appresta a stilare il progetto esecutivo dell’ascensore “perfetto”, diventa esplicito ciò che in realtà al lettore era parso chiaro sin dalle prime pagine di questo straordinario romanzo: si tratta di una allegoria ambiziosa e raffinata delle dinamiche del progresso sociale in generale e della questione razziale in particolare. L’idea di elevazione fisica mediante ascensori - così centrale nella società immaginata dall’autore - ovviamente ha un significato metaforico evidente e allude a ben altro tipo di ascese. La protagonista è coinvolta in una sorta di indagine che è per lei (e per noi) anche un’avventura intellettuale, una sfida filosofica. Le elezioni della Corporazione sono vicine, e il candidato favorito è Frank Chancre, empirista e spregiudicato politico: cercando di salvare sé stessa da terribili accuse e al tempo stesso di non danneggiare il candidato intuizionista Orville Lever, Lila Mae scopre sull’enigmatico, mitico James Fulton segreti che potrebbero cambiare le città per sempre. Come è facile intuire, si tratta di un libro d’esordio di straordinaria originalità: uscito nel 1999, fu nominato da “Esquire” romanzo dell’anno, mentre “GQ” addirittura lo inserì tra i più bei romanzi del millennio che stava per chiudersi e il prestigioso Quality Paperback Book Club conferì all’allora sconosciuto Colson Whitehead il New Voices Award. Un mostro sacro come John Updike scrisse sul “New Yorker” una recensione entusiastica, in cui si leggeva tra l’altro: “È un debutto sorprendentemente raffinato (…) ambientato in una città che non è proprio New York, nel modo in cui la Gotham di Batman non è del tutto New York. Il romanzo coglie una meraviglia sconosciuta in mezzo a noi, l’ascensore, e canta la sua storia, la sua tecnologia, (…) aggiungendo alla solida ricerca del romanziere un pizzico scintillante di fantascienza”. Ascensore sociale.