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L’invenzione della natura

Nato nel 1769 da una famiglia aristocratica prussiana, sin da bambino Alexander von Humboldt aveva manifestato una certa irrequietezza all’idea di stare chino sui libri. La sua curiosità ed il gusto della scoperta lo inducevano a vagare per la campagna, raccogliendo e disegnando piante, rocce ed animali. Questa pulsione lo avrebbe caratterizzato anche “da grande”, quando capì che la sua sete di conoscenza della natura si sarebbe placata solamente viaggiando. Nel suo profondo, era convinto che tutte le forze cosmiche fossero interconnesse e, per provarlo, avrebbe dovuto mettere a confronto zone del pianeta distanti tra loro e, dunque, esplorare terre lontane, come il Sud America. L’occasione si presentò quando, in uno dei vari spostamenti in un’Europa sempre più coinvolta nelle guerre rivoluzionarie, s’imbatté in un giovane scienziato francese, appassionato di botanica ed impaziente, come lui, di scoprire il mondo. Il giovane, che si chiamava Aimé Bonpland, sarebbe stato il suo compagno fidato in un viaggio di cinque anni, durante il quale avrebbe raccolto, misurato e comparato dati riguardanti tutti gli ambiti della scienza: dalla botanica all’astronomia, dall’entomologia alla geologia. Arrivando a toccare anche la politica e l’economia, nel momento in cui ebbe davanti agli occhi le devastazioni ambientali causate dal colonialismo. Gli anni passavano, ma lui non cambiava di una virgola: continuava a lavorare indefessamente, a parlare al doppio della velocità delle persone comuni e, soprattutto, a voler sperimentare ed incrementare il suo sapere. E così, a cinquantanove anni, mentre le sue idee iniziavano a farsi strada nelle menti più luminose del secolo, Alexander von Humboldt partì per la Russia, la sua ultima spedizione…

Il temibile calamaro da preda Humboldt vive nella Corrente di Humboldt, che costeggia Cile e Perù. In Messico svetta la Sierra Humboldt, cui fa eco, in Venezuela, il Pico Humboldt. Spostandosi in Groenlandia, passando, magari, per Chicago ed il suo Humboldt Park, ci si potrebbe trovare davanti il Ghiacciaio Humboldt. Anche sulla Luna c’è un Mare Humboldtiano, ma gli elementi sono già abbastanza per dare la misura dell’enorme contributo alla scienza dell’intellettuale eclettico Alexander von Humboldt. Il fatto strano è che, nonostante ai suoi tempi fosse considerato “l’uomo più famoso al mondo dopo Napoleone” e per quanto il suo nome sia legato a montagne, parchi, animali e specie botaniche, oggi, al di fuori dell’accademia, quasi nessuno sa nulla di lui. Il motivo lo spiega la storica Andrea Wulf, nel suo libro-capolavoro, il cui elenco dei premi ricevuti occupa gran parte della bandella: le idee di Humbodt permeano così profondamente il nostro pensiero e “le sue intuizioni sono diventate così ovvie da farci dimenticare l’uomo che vi sta dietro”. Il concetto di ecologia e quello di cambiamento climatico ci sono familiari, ma pochi sanno che fu Humboldt a teorizzarli, dimostrando come la natura non sia altro che “una grande catena di cause ed effetti”. E lo fece in un momento storico (i primi decenni dell’Ottocento), in cui tutto portava a pensare il contrario, con la separazione dei vari ambiti delle scienze e la crescente specializzazione. Con una prospettiva cosmica, che univa invece che separare; un approccio olistico, che armonizzava razionalismo ed empirismo; ed una prosa fluida, dove scienza e poesia si amalgamavano, Humboldt divenne un punto di riferimento non solo per la comunità scientifica, ma anche per politici (Jefferson), poeti (Wordsworth) e narratori (Goethe). Nato dall’intento dell’autrice di restituire ad Humboldt “il posto che gli spetta nel pantheon della scienza”, L’invenzione della natura, dopo una prima impressione poco invitante ‒ un monolito di oltre cinquecento pagine ‒, si rivela subito per quello che è: un’opera appassionata, fatte di Storia e storie, con un protagonista che sembra mutuato da un romanzo e capace di far sentire “a casa” anche chi frequenta il mondo delle lettere più assiduamente di quello delle scienze.