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L’Isola del Paradiso

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Aprile 1789, oceano Pacifico sud-occidentale. Un vascello mercantile armato di quattro cannoni e appartenente alla marina del Regno Unito è immobile sull’oceano. Sembra riposare prima di riprendere il viaggio di ritorno. Ma sul ponte c’è una strana animazione. Il capitano Blight, sorpreso nel sonno, viene prelevato dalla sua cabina, condotto in coperta con le mani legate e costretto da alcuni marinai ammutinati a salire su una lancia assieme ai membri dell’equipaggio che gli sono rimasti fedeli. Tra i rivoltosi, c’è il comandante in seconda Christian Fletcher, stanco di subire le angherie del comandante noto per il suo carattere intollerante. Condannati al patibolo se verranno ritrovati, il gruppo di ammutinati leva l’ancora per fare ritorno a Tahiti, dopo aver lasciato il capitano Blight al suo destino. Spinti dal desiderio di rivedere le belle polinesiane, gli ammutinati decidono di trovare un’isola lontana dalle rotte per ricominciare una nuova vita assieme alle donne e agli uomini che liberamente sceglieranno di seguirli. Il 12 gennaio del 1790 il gruppo sbarca sull’isola di Pitcairn, minuscolo fazzoletto di terra sul quale, guidata da Christian, la nuova comunità dà inizio alla creazione di un piccolo paradiso terrestre. Ma dopo alcuni anni di placida convivenza, emergono i primi dissapori tra inglesi e gli uomini polinesiani che, poco alla volta, vengono costretti a lavorare come schiavi per i marinai. Giorno dopo giorno il risentimento si trasforma in odio fino a quando verrà versato il primo sangue. Uno alla volta gli uomini si eliminano a vicenda e il paradiso creato si trasforma in un inferno…

Come tutti gli incendi, il fuoco viene generato da una minuscola scintilla che in questo caso ha la forma dell’invidia di un uomo verso un altro uomo. “Avevano il mondo intero a disposizione: Caino e Abele” dirà Christian in punto di morte. “Cosa poteva importargli che le cose riuscissero meglio all’uno o all’altro? Perché litigare? Non c’era senso. E infatti io l’avevo sempre creduta una favola”. Ma la verità è che il male sta dentro l’uomo e dunque, da qualunque parte lui vada, lo porterà sempre con sé. Un bagaglio che non vogliamo vedere fino a quando il peso da sopportare sulle spalle diviene eccessivo e si trasforma in rabbia contro il prossimo. Eugenio Corti (1921-2014) scrittore e saggista noto per l’imponente romanzo storico Il cavallo rosso, riprende non a caso la storia degli ammutinati del “Bounty” che già prevede un’ampia bibliografia e filmografia (ricordiamo tra gli altri il film del 1984 con Mel Gibson e Anthony Hopkins), riproponendola in quello che lui stesso definì “un racconto per immagini”. Le due motivazioni che hanno spinto Corti a scegliere un tema così conosciuto nell’immaginario e a riproporlo con una tecnica simile a quella della sceneggiatura sono legate tra loro. Così come Giuseppe Romano, vicedirettore delle Edizioni Ares, spiega nell’introduzione, la già chiara connotazione dell’avventurosa storia del “Bounty” ha permesso all’autore di far fare al lettore un passo in più, già avvantaggiato dalle conoscenze cristallizzate, portandolo alla creazione di un ulteriore livello immaginifico, fino a ricavare una nuova immagine “luccicante come un fotogramma e luminosa come una metafora”, considerando anche che il fatti narrati si svolgono contemporaneamente a quanto avviene a Parigi nel 1789. I principi rivoluzionari degli ammutinati infatti sono gli stessi: liberté, egalité, fraternité, simile anche la deriva violenta.