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Lizzie

Lizzie
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1849. Inghilterra vittoriana. Due uomini in cappotto e cappello passeggiano, contro il vento, su una spiaggia: Walter Deverell e Dante Gabriel Rossetti. Sono due artisti alla perenne ricerca d’uno sfondo per i loro scenari. Ma quel mare che hanno dinanzi non va bene: non è per niente a scala umana, e collocarvi una “figura umana” significherebbe farla sparire o, quanto meno, non renderla necessaria. Walter confessa all’amico di aver trovato una nuova modella, un vero “sogno d’eleganza” coi capelli rossi… Elisabeth Siddall – Lizzie – è una delle ragazze che lavorano al Colerane’s Millinery and Dresses, un atelier per signore, e il suo sogno segreto è sempre stato quello di entrare a far parte proprio di quella cerchia di giovani artisti – tra i quali Walter e Dante – che, a Londra, stanno cambiando la pittura per sempre (si tratta del movimento dei Preraffaelliti). Le cose andranno esattamente come lei spera: incontrerà l’arte, Dante e l’amore, con tutti i loro tormenti: si sforzerà d’essere la modella e la donna perfetta, la Beatrice di Dante, oltre ogni misura, persino oltre sé stessa…

Martin Michael Driessen e Liesbeth Lagemaat – che usano lo pseudonimo unico di Eva Wanjek – sono le penne che imbastiscono questo capolavoro, un vero e proprio romanzo storico – le vite dei due protagonisti sono in parte romanzate, in parte no – in cui storia e fiction s’amalgamano e si fondono. L’assoluto e apparente rigore della società vittoriana fa da contraltare e, al contempo, da germinatore alla vita dissestata del mondo degli artisti, in cui anche il fiore dell’amore si fa ossessione, fino a vestirsi dell’olezzo del marcio, fino a sporcarsi della dipendenza. Fino a smettere di essere… Fino all’abisso. Questo romanzo dà voce a quadri reali: dà pensieri sublimi, poetici e patetici – espressi anche in prima persona – a quella giovane modella e artista smunta e dai capelli rossi. Le regala vita e sogni, e poi glieli toglie, come a volerla riportare, quasi incastrare, dentro quei quadri: ferma e immobile. Perché nell’eternità d’un dipinto si può essere altro solo per magia – nella magia del racconto che tutto può –, ma poi si ritorna sempre e solo alla vera Bellezza, quella che non conosce mai tempo.