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Lo shtetl perduto

Lo shtetl perduto

Anche in una cittadina serena e tranquilla, come nel caso del mite villaggio di Kreskol, situato nella selvaggia foresta polacca, può capitare di incontrare qualcuno che non si vuole più rivedere per niente al mondo. Alla giovane Pesha Lindauer succede proprio un episodio del genere, di imbattersi in un uomo che le fa immediatamente ribollire il sangue alla testa e la cui voce le fa digrignare i denti e stringere i pugni. Una persona talmente sgradita da perseguitarla anche negli incubi, lasciando dietro di sé al risveglio addirittura un lieve sentore di zolfo. Nel caso specifico si tratta di Ishmael, il marito da cui ha chiesto il divorzio pochi mesi dopo il pagamento della dote e la firma del contratto. Non certo una sorpresa per tutto il villaggio, data la freddezza della coppia già dai primi giorni dal matrimonio. Lo stupore colpisce tutti invece quando invece una mattina Pesha sparisce, senza più lasciare traccia. Nessuno, da più di cento anni, ha mai avuto il coraggio di attraversare i boschi di Kreskol, per paura degli animali feroci e della leggenda della strega che trasforma tutti i viandanti in lupi. Urge una soluzione immediata e quindi i rabbini affidano a Yankel, il tonto del villaggio, il compito di rintracciare la donna. Yenkel non troverà nessuna strega al di fuori di Kreskol, bensì la città con tutte le sue modernità e le sue insidie morali...

Max Gross è un giornalista e scrittore statunitense che con questo spassosissimo Lo shtetl perduto ha vinto il prestigioso National Jewish Book Award nel 2020. Un romanzo che si inserisce nella grande tradizione dell’umorismo yiddish, con alcune reminiscenze di celebri film come La vita è bella e Train de vie. Il tema principale del romanzo, trattato sempre con grande sense of humour e ironia, è il perenne conflitto, all’interno dell’identità ebraica, tra passato e presente. Viene toccato naturalmente anche il tema dell’antisemitismo post- Shoah e della diffidenza nei confronti del diverso e, anche in questo caso, Gross lo fa in maniera intelligente e mai volta a suscitare pietismi inutili. Il tutto inserito in un contesto di fantasia come quello del fittizio villaggio di Kreskol che però è talmente ben tratteggiato da sembrare sempre vivo e reale. Stesso discorso per i suoi personaggi, realistici e divertenti, su tutti la collerica Pesha e lo spaesato Yenkel, perso fra le tentazioni della Smolskie del ventunesimo secolo tanto da essere addirittura internato. Un’ottima opera prima a cui speriamo ne facciano seguito molte altre.