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L’ombra del Sant’uffizio

L’ombra del Sant’uffizio

Anno 1617: Gavino Rustarellu, figura multiforme, ambigua e abilissima a mutare faccia a seconda delle convenienze ideologiche del momento, è imbarcato, per conto della Repubblica di Genova pur essendo lui sardo, su una nave britannica guidata dal capitano Nichols, che sta viaggiando verso Londra: improvvisamente l’imbarcazione si trova a fronteggiare un lungo e sanguinoso assalto di corsari, durante il quale la maggior parte dei suoi compagni non sopravvive. Gavino ce la fa, ma una volta sbarcato - in Sardegna e non più in Gran Bretagna - viene fatto prigioniero dagli inquisitori in quanto gli viene requisita una Bibbia considerata “non ortodossa”, che in realtà ironicamente non è nemmeno sua ma gli è stata consegnata, a mo’ di portafortuna, da un compagno di navigazione inglese in pieno assalto dei predoni… Anno 1622: Dopo esser stato sottoposto a interrogatorio ed esser scampato alla tortura, Gavino viene segretamente liberato a patto che uccida Gamiz, proprio il bieco capo del Sant’Uffizio, inquisitore crudele e dotato di enorme potere che esercita contro ogni potenziale nemico compresa la Corona e talvolta qualche elevato esponente del clero. Proprio per questo è diventato il bersaglio della cospirazione omicida che ha coinvolto Rustarellu. L’attentato a Gamiz da parte di Gavino però fallisce, mentre nel contempo accade che un magistrato della Reale Governazione di Sassari, Angelo Giacaracho, venga eliminato a seguito di un piano criminoso, del quale vengono rintracciati i soli esecutori materiali. A questo punto il compito di Gavino, in cambio della propria libertà, diviene quello di individuare in brevissimo tempo i mandanti dell’omicidio…

Il romanzo, dosato in modo assolutamente equilibrato tra thriller, racconto storico (anche con personaggi realmente esistiti, quali proprio Gamiz ad esempio) e avventura classica, è molto ben scritto, ricercato a livello di lessico ma anche particolarmente incisivo e preciso nella descrizione delle scene di vita a bordo delle navi e delle battaglie tra imbarcaderi. Altrettanto bene l’opera riesce nel colmare i vuoti delle fonti attraverso credibili invenzioni storiche, e nel descrivere il clima di degrado e di scarsa forza morale cui il dominio della Santa Inquisizione stava conducendo nel Seicento la Sardegna, a Cagliari come a Sassari. È proprio tale organo, così come i tanti notabili di cui quasi si perdono il conto e la memoria nel libro - su tutti notai, vicari, avvocati, sbirri - a dominare la trama con abusi, ingiustizie, privilegi e immunità che di fatto incidono quasi interamente sul corso degli eventi raccontati. Molto ben rappresentati soprattutto il potente Gamiz che, ubriaco di potere, vede marcio dappertutto (arrivando persino a ipotizzare l’arresto di Dante e Petrarca) e dell’ironico, testardo, coraggioso Gavino che tiene le fila di quasi tutto il racconto. Lo stile è giornalistico, ma sufficientemente profondo e passionale: semmai un difetto dell’opera può essere rintracciato in una certa prolissità e nei cambi di scena e di anno forse un po’ troppo frequenti e repentini, che la rendono complessivamente inadatta ai lettori che siano poco avvezzi al romanzo storico.