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L’opera nuda

L’opera nuda

Il mondo contemporaneo è salpato ormai verso una nuova condizione, attraverso le acque oscure e tenebrose di un incubo orrendo, all’interno del quale ognuno si aggira come un superstite desolato e in preda a un disorientato incedere: “Il governo provvisorio che coordina l’estinzione / in accordo con il ministero dell’alimentazione / e con il consenso ecumenico delle chiese unificate / ha emesso stamane un decreto di immediata applicazione. / in seguito al drammatico esaurimento di prodotti alimentari // si concede alla popolazione superstite / di sfamarsi con le proprie virtù e i propri difetti”. Approdato in quella terra gonfia di anni e di immagini ormai corrose, senza più la prospettiva di un orizzonte aperto il poeta appare come un naufrago artigliato al ricordo di remote passioni, un vagabondo piegato al ritmo lento e disperato di una vita che sfugge alla sua comprensione, un orfano della virilità dialettica, un prigioniero rinchiuso in uno stato di un laconica arrendevolezza: “Immuni al processo epocale che sostituisce / i circuiti neurolettici di identità individuale / con schede omologate di massa / ancora nudi noi / davvero soli qui”. Senza rinunciare, nondimeno, al sarcasmo disincantato con cui indica situazioni di disordine, di stravolgimento della morale e delle buone regole...

Di queste amare riflessioni dà conto la presente disarmata silloge di Mauro Macario – poeta, scrittore e regista nato a Santa Margherita Ligure il 21 febbraio 1947 – in cui si professa cantore afflitto da una modernità lacerata e lacerante, disperatamente proiettata verso una nuova condizione di vita con la quale egli non intende affatto venire a patti. Perché essa coincide con una palingenesi determinata da un ruolo sempre più egemone degli apparati tecnologici, il cui prezzo è costituito sia dall’amputazione dell’anima che dall’abdicazione dei valori civili e morali a vantaggio della mercificazione delle relazioni sociali. Certo è che in questa sua nuova raccolta il rito poetico e il confronto con una realtà percepita come un percorso obbligato di vacua omologazione, di regressione civile, di asservimento alla tecnica vanno disgiuntamente a spasso in un sommesso rimando di evocazioni e di stili, che ci consegnano la voce di un Macario che procede errante dentro sé stesso e nell’onestà del proprio porsi al cospetto di chi legge, privo di ogni scudo protettivo come un moderno Archiloco. Ne viene fuori un libro dimesso e tormentato che, oltre la tensione liberatoria, esibisce il pathos di una percezione dolorosa in cui la tinta cupa del tramonto si dilata fino ad erodere il bagliore del nuovo giorno.

LEGGI L’INTERVISTA A MAURO MACARIO