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L'orda

L'orda

Flashback. Ruby torna bambina e ricorda: ricorda che a casa c’erano oggetti che la mamma le impediva pure di sfiorare. Erano tutti quegli oggetti che stavano stipati nella vetrina, in cucina; nel salotto, o addirittura incorniciati. La mamma adorava quegli oggetti, quelle erano le sue cose. Le sue cose costruivano e tenevano unito e vivo il suo mondo. Suo papà era differente, teneva soltanto a un oggetto: un vaso, un vaso che apparteneva alla sua famiglia da quasi un secolo, portato via dal nonno dal Giappone negli anni della Grande Guerra. Quante ne aveva passate, quel vaso: a quante traversie era sopravvissuto. Ruby una notte rompe quel vaso; un incidente, o forse no. Quel vaso la spaventava a morte, aveva dei disegni veramente oscuri. Quel vaso si spezza, e Ruby sembra disperata e infestata al contempo. Come se quel vaso si fosse animato, o se rompendosi avesse sprigionato qualcosa. Qualcosa di mefitico... Arriva il papà e subito si premura che la piccoletta non si sia fatta niente. Ruby piange troppo per poter parlare; il papà la stringe forte e le ripete che quello è soltanto un oggetto, non ha nessuna importanza che possa essere riparato, pazienza. “Tu sei mia figlia. Quello era solo un oggetto...”. Tutto qua. Stacco. Presente. Siamo nel Lake View Cemetery di Seattle. Lapidi giapponesi. Ruby si domanda se è tornata a pensare a quel vaso perché ha appena carezzato l’urna con le ceneri del suo papà, o se invece la ragione è un’altra. La memoria è bizzarra quanto l’inconscio. Adesso si sta dedicando a tutta una serie di pratiche e di doveri: ha smistato i suoi gatti come poteva, ha diviso diversi suoi beni tra amici e veterani di guerra, ha preso accordi per affittare casa, ha disdetto tutta una serie di utenze. Rimane da pensare alla mamma. E intanto, Ruby racconta alla sua compagna che tanti anni prima il papà la aveva portata via dalla mamma perché la mamma era andata fuori di testa con il collezionismo, aveva un rapporto malato con le cose, non riusciva a liberarsene mica. E forse quel rapporto malato non si limitava soltanto alle cose... “Mia madre colleziona persone. Proverebbe a collezionare anche te. E sfoggiarti, come sfoggia i suoi anelli o gli orologi; e poi ingoiare le tue esperienze e raccontarle, come fossero le sue. Per trattare le nostre vite come se fossero le sue”. Una volta arrivati sotto casa della mamma, in Oregon, Ruby e la sua compagna si salutano e si promettono di ritrovarsi più tardi, altrove. “Libera la mente e vai a sistemare tutto”. Un bacio e a presto. Ruby è a un metro dalla porta di casa della mamma, mette la mano sul pomello. Il pomello si trasforma in un teschio e tenta di morderla, e...e là dietro ecco la mamma. Niente abbracci. Nessuno slancio. E...

Cartonato, a colori, pubblicato dalle Edizioni BD nell’autunno 2021, L’orda è un fumetto gotico, dalle atmosfere sospese tra Neil Gaiman e un vecchissimo Dylan Dog di Tiziano Sclavi, uno Sclavi particolarmente manierista però; è una vicenda di infestazione e di frustrazioni famigliari, di storie d’amore andate a pezzi e di legami frantumati per una serie di scelte di vita a dir poco sbagliate. È la storia di un confronto tra madre e figlia venti anni dopo i primi scontri, e dopo tante assenze e tanto vuoto; è una meditazione sulle appartenenze, giocata a mezzo metro dal kitsch, dal didascalico e dal grottesco. A volte ci si inciampa e si rischia un po’; altre volte, certi incidenti non si ripetono. Siamo dalle parti del discreto intrattenimento di genere, interpretato con molto mestiere. La storia è stata scritta da Marguerite Bennett da Richmond, Virginia, alle spalle tanto lavoro per la DC Comics, la Marvel, la Dynamite e IDW, protagonisti personaggi diversi come Batman, Batgirl, X-Men, Bombshells. I disegni sono dell’artista parigina Leila Leiz, autodidatta, italiana d’adozione, alle spalle esperienze per la Sergio Bonelli Editore e la Soleil, debutto presso AfterShock Comics con la serie Alters di Paul Jenkins. In un’intervista rilasciata a SkyTg, la Leiz ha dichiarato: “Avevo paura di non avere abbastanza immaginazione per creare quei personaggi. Sono stata un po’ terrorizzata di non riuscire a fare qualcosa di vivo e spaventoso, che creasse l’angoscia della paura. Era il mio primo horror e per prepararmi ho guardato molti film in bianco e nero perché io non sono abituata a lavorare in bianco e nero, ho fatto molta ricerca”. Il risultato è apprezzabile; spesso sono i disegni a compensare più di qualche ingenuità del soggetto. Veniamo ai titoli di coda. Colorista Guy Major, artista e fotografo attivo nel mondo dei fumetti dal 1995, letteralmente o quasi su qualunque personaggio americano; lettering originale di un altro veterano, il mestierante Marshall Dillon; cover e variant cover di Leila Leiz; design del volume a cura di Charles Pritchett; design del logo originale, opera di Dylan Todd. Editor, Joe Pruett. Il lettering italiano è di Vincenzo Rey Scognamiglio; la traduzione è di Giuseppe De Pascale. In appendice, sketchbook di Leila Leiz, cover e variant cover “pulite” e infine notizie biobibliografiche sugli artisti che si sono dedicati a questo fumetto.