
Dal 2002 ad oggi la Turchia ha subito una profonda trasformazione sociale e politica. In quell’anno è salito al potere il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) guidato dal sindaco di Istanbul Recep Tayyip Erdoğan e di fatto da allora quel partito non ha più lasciato le leve del potere. Negli annali di storia a venire quello che sta per concludersi sarà senza dubbio ricordato come il ventennio dell’AKP e probabilmente non ci sarà maniera migliore di leggerlo se non attraverso il corpo fisico, materiale, architettonico della città simbolo di questo paese: Istanbul. Lo skyline di questa metropoli racconta molto della Turchia di questi ultimi decenni. Più alti dei minareti delle storiche moschee, svettano i grattaceli dei quartieri finanziari; il Bosforo è attraversato in superficie ormai anche dall’avveniristico terzo ponte “Yavuz Sultan Selim” e sotto il mare dal tunnel “Avrasya” ovvero “Eurasia”, che connette il cuore storico della città sulla sponda europea con i quartieri dirimpettai della sponda asiatica; più a nord, verso il Mar Nero, è ormai realtà il terzo enorme aeroporto, con una capacità stimata di 200 milioni di passeggeri all’anno; Erdoğan spinge sull’acceleratore di un altro dei suoi “folli progetti” come li chiama lui, ovvero il canale artificiale navigabile che connetterebbe il Mar di Marmara al Mar Nero, rendendo di fatto la parte antica di Istanbul un’isola. E poi: mega centri commerciali, una moschea in piazza Taksim, gated-communities per l’alta borghesia. Probabilmente, niente meglio dell’architettura e dell’urbanistica racconta dei conflitti sociali, spaziali e politici della Turchia degli ultimi venti anni. Le proteste del movimento Occupy Gezi nel 2013 portarono alla luce la centralità e l’importanza del conflitto sullo spazio urbano, ma quella stagione di proteste è stata, ahinoi, amaramente sconfitta e la trasformazione in senso privatistico e neoliberista della città continua a procedere a passi spediti. Meno di un anno fa però il partito di Erdoğan ha perso il controllo della città a favore dell’opposizione improntata a un laicismo nazionalista; cambierà qualcosa nel prossimo futuro? Sarà possibile immaginare una Istanbul diversa? Certamente, non sarà possibile cancellare i segni architettonici e infrastrutturali lasciati dal ventennio AKP…
Non è storia nuova in Turchia. Quando nel 1923 il movimento nazionalista guidato da Mustafa Kemal Atatürk fondò la Repubblica di Turchia, fu avviata un’enorme opera di ri-pianificazione urbana, non solo ad Istanbul ma in tutto il resto del paese. L’architettura moderna e razionalista doveva marcare lo stacco storico con il defunto Impero Ottomano. La moderna Turchia rifuggiva le commistioni, le contaminazioni e il pluralismo culturale che caratterizzava l’Impero, in nome di un purismo nazionalista turco che doveva riflettersi nel disegno delle città. Erdoğan a questo riguardo, può essere definito un secondo Atatürk, ma in senso inverso. Anch’egli consapevole dell’importanza dello spazio urbano e della necessità del potere di “lasciare il segno” nel corpo del paese ha sin da subito dato grande importanza ai grandi – anzi meglio, grandiosi - progetti infrastrutturali, così come a quelli di gentrificazione e di “riqualificazione” dei quartieri poveri attraverso l’agenzia governativa Toki, innescando e controllando così una serie di importanti cambiamenti socio-economici che sono anche alla base del consenso politico di cui il suo AKP ha goduto in questi ultimi vent’anni. E dunque il libro di Giovanna Loccatelli, L’oro della Turchia, il cui sottotitolo recita Il business dell’edilizia che ha stravolto l’aspetto del paese e il suo tessuto sociale, apre alla conoscenza della Turchia utilizzando una delle chiavi fondamentali. Descrive nel dettaglio i progetti infrastrutturali più significativi, analizza il fenomeno delle gated-communities e quello degli enormi centri commerciali - e della loro produzione di status attraverso il consumo. Come è facile immaginare, ciò che vale per Istanbul vale anche per il resto del paese, per le città di provincia, ma anche per la capitale dove nel 2014 è stato inaugurato l’enorme e criticatissimo palazzo presidenziale. L’oro della Turchia è un libro interessante, sicuramente importante per capire la Turchia contemporanea e che si appoggia su una ormai consolidata letteratura internazionale sull’argomento. Alcuni capitoli, come quello sulla sanità o sui cosiddetti “turchi bianchi” appaiono leggermente fuori centro, ma il libro coglie indubitabilmente il segno e ci dà degli elementi cruciali per capire l’ascesa e la permanenza al potere del clan di Erdoğan e della sua visione liberista e conservatrice, della politica, così come dello spazio.