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Los Alamos

Los Alamos

Natale 1944, New Mexico. La base segreta di Los Alamos ormai è una piccola città abitata da 5000 persone. All’inizio Robert Oppenheimer detto Oppy aveva pensato di poter costruire la bomba atomica americana con la collaborazione di altri cinque fisici, non di più. Dopo poco tempo il numero di fisici era raddoppiato e poi quadruplicato. Si erano aggiunti anche matematici, chimici e specialisti in metallurgia. L’US Army aveva mandato un distaccamento di genieri e 200 MP. Erano arrivate le ausiliarie per sbrigare i lavori d’ufficio, poi era stato necessario aumentare il personale addetto a un po’ tutto, perché bisognava che Los Alamos fosse autonoma e i contatti con il mondo esterno fossero ridotti al minimo indispensabile. Erano stati costruiti dormitori, un ospedale, una scuola, perché nel frattempo avevano cominciato a nascere bambini. Il sergente Joe Peña, un indiano Pueblo con eccellenti doti da pugile e una passionaccia per il pianoforte, è incaricato di vegliare sulla sicurezza di Oppenheimer, agli ordini del capitano Augustino, un paranoico ufficiale dei servizi ultraconservatore che è convinto che Oppy sia una spia di Stalin e faccia il doppio gioco. La situazione è complicata ulteriormente dal fatto che Joe si scopi Celeste, la moglie ventenne e disinibita di Augustino. E dalla guerra, naturalmente, con i fottuti giapponesi che vanno di vittoria in vittoria…

Per oltre due anni a partire dal 1943 - nell'ambito del Progetto Manhattan - a Los Alamos, in laboratori non segnati sulle mappe e conosciuti all'esterno come sito Y, fu sviluppato un ordigno nucleare a implosione a base di plutonio che dopo un test fu sganciato sulla città di Nagasaki il 9 agosto 1945 uccidendo quasi 200.000 persone e causando la resa del Giappone.Questa pagina di storia è raccontata a ritmo di swing e jazz: pugni, pistole, macho e belle pupe inseriti però in uno scenario claustrofobico e originale, un deserto isolato dal mondo in cui la natura ha qualcosa di metafisico e tutto pare permeato dalla cultura nativa americana, dalla sua spiritualità. Il ritmo è sincopato, lo stile narrativo esibizionista, sfrontato, virtuosistico. Anche troppo virtuosistico. È come se Martin Cruz Smith nel 1986 – quando il libro è uscito - si sentisse un po’ in colpa per il successo planetario di Gorky park e volesse esorcizzarlo con un romanzo ambizioso e raffinato: “Ehi critici, ehi pubblico! Non sono solo un giallista, sono uno scrittore vero, leggete di cosa sono capace!”. Un proposito per metà pretestuoso e per metà fallito.