
Uno scrittore di racconti, di origini polacche, si aggira per la città di Berlino, visitando i quartieri e incontrando le persone che per caso intersecano il suo vagabondare. Una domenica mattina si trova alla locanda chiamata “Il piccolo principe”, vicino al parco dell’Hasenheide, dall’altra parte della città rispetto al suo quartiere. Un piccolo microcosmo dove si parla tedesco e polacco e che si riempie non appena finisce la messa e i partecipanti all’omelia, perlopiù appartenenti alla comunità polacca, invadono la sala. A condividere il suo tavolo, un anziano accordatore di pianoforti arrivato a Berlino negli anni Sessanta. Una breve conversazione tra le urla crescenti degli avventori e poi, una volta di nuovo in strada, la sensazione di essere tornato bambino, nella città di Opole, quando andava ancora a messa e per davvero credeva ai miracoli, all’esistenza di diavoli e angeli. Qualche tempo dopo, lo scrittore bussa alla porta di una architetta di cui non ha mai sentito parlare. Si è semplicemente lasciato trasportare dal biglietto da visita che distrattamente ha raccolto proprio sul bancone della locanda. Lui e sua moglie hanno parlato sì di voler ristrutturare l’appartamento dove vivono, ma mai con vera intenzione. Dunque è solo la curiosità per quello strano invito stampato a spingerlo ad andare, che recita: ”Dorota Kamszer – Architetta. Chiamami!” e che sembra scritto apposta per lui. Le visite si fanno frequenti e le conversazioni divergono subito dal progetto di ristrutturazione di un appartamento, ma diventano l’espediente per la donna di raccontare la propria vita, solitaria dopo la morte del marito e piena di una malinconia grigia come il cielo sopra Berlino. Gli incontri si susseguono casuali, anche se la sensazione è che sia il fato a cavalcare il caso, portando lo scrittore a un incontro letterario dove incontra l’attore Eli e poi l’ex chirurgo Dariusz, conosciuto nel negozio di una stazione di servizio. Entrambi sembrano bisognosi di raccontare le proprie vite a lui, che forse più di altri sa ascoltare e che, inconsapevolmente, sembra destinato alla continua ricerca di storie...
“A pensarci, è proprio strano che esista in congiuntivo” dice l’ex chirurgo Dariusz al nostro protagonista. ”Sappiamo quanto sia inutile per il nostro viaggio, ma prendiamo e partiamo lo stesso.” Un’unica frase che sembra però proprio l’essenza di questo romanzo berlinese vincitore del premio letterario organizzato dal quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e che si condensa in un racconto corale nel quale la soggettività narrativa diventa il letto del fiume sopra a cui uno scrittore, in questo caso spettatore e ascoltatore, naviga a vista senza avere né il tempo né la voglia di scrivere anche una sola parola di ciò che vede e sente. Eppure, ogni voce che ascolta è probabilmente un tempo di vera letteratura, perché racconta di intimità svelate, che da piccole e personali si fanno enormi e che parlano di un popolo in cammino, in esodo e fuga. Il muro permeabile del confine tra Est e Ovest è il confine che tutti i personaggi incontrati hanno valicato durante e dopo la guerra e gli stravolgimenti avvenuti nel secolo scorso. Scorrendo e leggendo tra le righe viene proprio da chiedersi se non sia davvero come afferma l’architetta Dorota quando dice che “a posteriori la vita ti fa l’effetto di una storia prettamente logica che non poteva andare altrimenti. Quando, in verità, a ogni istante era possibile uno sviluppo del tutto diverso. È la memoria ad ammantare tutto di una ferrea necessità, per proteggerci, tranquillizzarci dal peso della libertà”. Sarà che nei crocevia ci si ritrova arrivando da direzioni diverse, con individui dai passati complementari ai nostri, col bisogno di liberarsi e confidarsi con chi non si è mai conosciuto e che, proprio per questo, non vorrà o non saprà giudicarti; sarà che ci sono città come Berlino che sembrano imbuti, dove si arriva ma dalle quali è difficile partire; sarà per tutto ciò e grazie anche alle voci di questi solisti che, uno alla volta, trasformano una singola melodia in una polifonia, ma davvero L’ospite triste è un romanzo con la grande capacità di affascinarti, grazie a un microcosmo estremamente intimo e personale ma che è anche la risoluzione di un cosmo macroscopico dentro al quale tutti ci ritroviamo.