
È il 1978, in Italia siamo nel pieno del rapimento Moro: il giovane Mattia Landi viene mandato dalla madre presso la (immaginaria) cittadina di Candevari, nel brindisino, dalla zia. Si è liberato un posto di docente presso l’Amaranta, da sempre l’Accademia più importante della zona, dal prestigio solo in parte conteso da altra analoga istituzione, la Principe Amedeo. Il giovane fa fin da subito la conoscenza della splendida e conturbante figlia del Rettore dell’Accademia, Eleonora Molteni, che ha persino sognato ancor prima di conoscerla, in una visione onirica durante il viaggio per giungere a Candevari, permeata in realtà anche di incubo; e questa gli fa conoscere suo padre, Arturo, uomo influente oltre ogni misura in tutto l’ambiente circostante, non solo universitario. Ben presto – e suo malgrado – Mattia si renderà conto che ambedue gli ambienti accademici sono ordinati e tranquilli solo in apparenza, e che dietro l’aspetto ed il comportamento in superficie puro e irreprensibile pressoché di tutti gli studenti si celano indicibili lotte per la supremazia: a volte per quella sessuale, altre volte per quella universitaria. Ogni personaggio, giovane o maturo, è pronto a sfruttare le proprie conoscenze, soprattutto quelle scandalistiche, per prevaricare o senz’altro eliminare i propri avversari nella strada verso il successo, fossero anche – le vittime – i propri migliori amici fino a qualche momento prima. Gli eventi, incluse ben tre morti violente, turbineranno intorno a Mattia, incapace di opporsi ad una concatenazione di fatti che sembra predestinata ma che non lo tocca direttamente: finché inizierà a capire in che modo verrà coinvolto e qual era il senso del sogno iniziale…
Il romanzo, molto ben scritto e dal ritmo sempre teso e coinvolgente, è sinora una delle più piacevoli sorprese degli ultimi mesi di letture: pur mantenendosi volutamente (e sino all’ultimo) in un’aura sospesa tra incubo e realtà, ben riesce nell’intento di chiarire quali possono essere i verosimili e tragici sviluppi dell’avere personaggi connotati da delirio narcisistico insediati in ruoli di comando in una comunità, che per quieto vivere e in virtù di un reciproco, continuo sistema di favori si lascia dominare e pilotare. Non a caso il personaggio di Mattia, che ben poco “agisce” e molto “viene agito” (semmai riesce pian piano a scoprire delle circostanze e degli eventi), ha però la funzione di “grimaldello” nel far venire a galla vecchie e nuove, indicibili e sepolte verità, solo in quanto è la “faccia nuova” in quell’ambiente, l’unico che non conosce l’ambiente e da questo non è conosciuto, l’unico perciò a poter essere, almeno in una certa misura e per un certo iniziale periodo, “imprevedibile”. Nel suo mantenersi sufficientemente distante dal giallo classico, l’opera predilige sviluppi e risoluzioni che dipendono più dall’esoterico, oppure dall’autogestirsi dei personaggi implicati, piuttosto che dalle indagini esterne, che girano in tondo senza avvicinarsi alla verità: tanto che la presenza di un commissario, il dott. Fani, e della sua assistente, Marta, risultano pressoché pleonastiche nell’economia della trama (soprattutto la figura del primo). Ciononostante, la vicenda risulta avvincente e verosimile, tanto da farci attendere con trepidazione la prossima prova dell’autore, che non ci dispiacerebbe vedere alle prese con un contesto ancor più realistico, giacché, dai pochi cenni alla vicenda Moro, sembra essere appassionato e dettagliato cultore della nostra recente storia politica, perlomeno quella del suo proprio anno di nascita.