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L’ultima festa dei sapiens

L’ultima festa dei sapiens

Villette famigliari in rovina e chiese abbandonate. Colline brulle e aria carica di anidride carbonica. Alberi secchi e ossa di cani ammucchiate in parchi ormai sabbiosi. In lontananza, pericolosi e spaventati al contempo, si aggirano soltanto i Bruti: persone regredite a uno stato scimmiesco che cercano di sopravvivere come possono. In un mondo di pura desolazione si aggira Bit, quello che sembra essere l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della Terra. Dopo lo sfacelo climatico, infatti, l’umanità è a un passo dall’estinzione definitiva. E l’ultimo rassegnato Sapiens, che attende la fine quasi con speranza, non può far altro che nutrire la memoria, e perciò ricorda. Ricorda il tempo (quello che noi chiameremmo “presente”) in cui gli esseri umani non vollero vedere la catastrofe imminente, e ricorda poi i suoi famigliari, e la donna che più ha amato, e le amicizie lontane. Sa che soltanto questo atto ormai lo differenzia dai Bruti, e che se anche lui cominciasse a dimenticare, allora tutto ciò che c’è stato nella storia, sia di buono che di ingiusto, sparirebbe per sempre tra le sabbie del tempo. Questa sua drammatica solitudine è però solo l’ideale inferno del futuro dell’umanità, perché a distanza di secoli comunità nascoste in bunker remoti inizieranno a riemergere, alla ricerca di territori vivibili. Troveranno così un mondo trasformato, dove la natura, tramite l’evoluzione sia animale che umana, sta riconquistando i propri spazi. E al termine di tutto, in un cammino onirico e dai risvolti quasi danteschi, l’umanità potrebbe scorgere una propria via di redenzione...

Tre racconti che delineano un futuro possibile. In ogni pagina Faragò vuole ricordarci infatti che il disastro climatico verso cui stiamo marciando condurrà non alla fine del mondo (perché, citando un vecchio film, la vita trova sempre una strada), ma probabilmente alla fine del genere umano. Il primo racconto, Il ricordo del sapiens, è anche il più lungo. In esso troviamo appunto il cammino di quello che pare essere l’ultimo uomo: un cammino più mentale che pratico. Questa prima parte presenta idee che colpiscono: una su tutte, il parco cittadino divenuto un cimitero di cani, poiché lì gli animali fedeli attesero invano il ritorno dei padroni. Interessante anche il fatto che gli ultimi gruppi di sopravvissuti, ricordati sempre da Bit, abbiano tirato avanti per un po’ grazie alle conoscenze maturate tramite videogiochi e serie tv (forse l’autore avrebbe potuto rendere più rilevante questa caratteristica, per differenziarsi maggiormente da un certo filone distopico a cui naturalmente si ispira). Il secondo racconto, Antico futuro, è invece un lungo cammino di un gruppo di soldati alla ricerca dell’Antartide, ultimo territorio teoricamente abitabile. L’idea di base è piacevole, ma poi la trama, nel tentativo di essere incalzante, appare quasi come un lungo elenco delle disgrazie che colgono i protagonisti. L’ultimo racconto, Un eterno sogno, ideale Paradiso della trilogia, è invece quello a mio parere più riuscito. L’alternanza dei punti di vista di due sognatori è sorprendente, e qui Faragò dimostra invece una buona capacità stilistica, rimasta un po’ in ombra nei due racconti precedenti. Da notare, infine, la grande bellezza delle illustrazioni, che donano al libro una qualità anche visiva davvero piacevole.