
Sabato 30 dicembre 1386, una mattinata serena ma freddissima. In un ampio spiazzo nei presi di un monastero appena fuori Parigi, appositamente attrezzato con tribune di legno e recintato, migliaia di persone attendono in assoluto silenzio – chi dovesse rendersi protagonista di schiamazzi, applausi e incitamenti verrà punito con la morte – che inizi un duello all’ultimo sangue tra due cavalieri riccamente bardati, corazzati e armati fino ai denti. Carlo VI, diciottenne Re di Francia, nonostante sia stato colpito nei giorni precedenti da un grave lutto, è seduto in tribuna assieme alla sua corte. Seduta in disparte, circondata da guardie, siede una giovane donna vestita di nero che osserva con angoscia i due duellanti che si preparano allo scontro. Ma chi sono questi due ricchi cavalieri e perché stanno per affrontarsi fino alla morte di uno dei due? Che senso ha questo duello, dal quale deriverà il verdetto di una tormentata vicenda giudiziaria, secondo una tradizione molto antica ma ormai quasi in disuso? Per capirlo occorre ripercorrere la storia della Francia del XIV secolo, impegnata in continui scontri militari con l’Inghilterra, percorsa da feroci bande di saccheggiatori, divisa in feudi rivali. Tra questi la Normandia, “insanguinato crocevia di guerra sin dall’antichità”, bersaglio preferito delle scorrerie degli Inglesi, infestata da traditori che cercano un accordo vantaggioso con gli invasori. Tra le famiglie nobili normanne rimaste invece leali al giovane Re Carlo VI, incoronato nel 1380 a soli dodici anni, c’è quella dei Carrouges. Jean, primogenito della famiglia, è un guerriero nato, cresciuto in sella ad un cavallo e quasi sicuramente analfabeta. Un veterano circa quarantenne dalla corporatura massiccia e indurito dalle battaglie. Sposato con Jeanne de Tilly, figlia del ricco signore di Chambois, attorno al 1375 ha da lei avuto un figlio. Il migliore amico di Jean è un guerriero coriaceo ed esperto come lui, “famoso per la forza delle sue braccia e la sua morsa d’acciaio”: si chiama Jacques Le Gris, è capitano della fortezza di Exmes e viene da una famiglia umile, pur essendo – paradossalmente – più istruito dell’amico. I due sono legati da fiducia reciproca e affetto e quando Jeanne ha partorito, Jean ha chiesto a Jacques di fare da padrino di battesimo al figlio, un onore grandissimo nel Medioevo. Ma negli ultimi anni l’amicizia si è guastata: prima ha contribuito la gelosia di Jean per le crescenti fortune economiche e politiche di Jacques, poi la morte di Jeanne e del figlio per malattia. Quando nel 1380 Jean trova una nuova moglie, l’eterea diciottenne Marguerite de Thibouville, i due ex amici sembrano riconciliarsi, finché nel 1386 un terribile evento non li trasforma definitivamente in nemici mortali…
Chiariamo subito un possibile equivoco: non si tratta di un romanzo storico o peggio della novelization del film diretto da Ridley Scott e interpretato da Matt Damon, Adam Driver, Jodie Comer e Ben Affleck. È invece un saggio (magnifico, lo dico subito) del 2004 che racconta la tormentata vicenda che sta dietro all’ultimo “duello di Dio” legittimato dalla legge francese. Questa - detta anche duello giudiziario o duello ordalico - era una forma di duello diffusa durante il Medioevo in Europa del nord. Si trattava di una ordalia, nella quale una contesa giudiziaria veniva risolta attraverso il combattimento tra i due contendenti o i loro campioni. Si riteneva che l’esito del duello, condotto secondo precisi rituali, non dipendesse tanto dal valore dei combattenti, quanto dal giudizio di Dio, che non poteva quindi che premiare colui che era nel giusto. L’idea a Eric Jager – studioso di letteratura medievale francese e professore alla University of California di Los Angeles – è venuta a metà degli anni Novanta, quando si imbatté in un carteggio che raccontava la vicenda della disputa tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gris: affascinato, cominciò a documentarsi, a raccogliere ogni materiale disponibile sull’argomento, recandosi anche in Normandia e a Parigi per visitare gli archivi e anche i luoghi dove si svolsero gli eventi. Si tratta quindi di un saggio costruito esclusivamente su fonti storiche – cronache coeve, documenti legali – e la percentuale di fiction è davvero minima, seppur decisiva perché ci fa appassionare davvero alla storia del terribile stupro denunciato da Marguerite de Thibouville e alla decisione di suo marito Jean che, credendo ciecamente (al contrario di molti altri, compresa sua madre) al racconto della moglie decide di denunciare l’ex grande amico Jacques e di basare sin dall’inizio la sua strategia processuale – conscio degli appoggi di cui gode il suo avversario e delle scarse prove a disposizione per confermare la versione di Marguerite – sulla richiesta al Re di Francia di un “duello di Dio” dall’esito molto incerto. Uno scontro all’ultimo sangue la cui cronaca puntuale occupa gli ultimi capitoli del libro che, giuro, ho letteralmente divorato col cuore in gola (non avendo peraltro visto il film). Un saggio avvincente, documentatissimo, che assolutamente non deve e non può mancare nella libreria di un appassionato di Medioevo e dintorni.