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L’ultimo lupo

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Amir, pastore marocchino di 22 anni, conta e riconta le pecore anche questa sera. Settantadue, settantatré, settantaquattro... ne manca proprio una e sono tre giorni che lo fa disperare! Sta lavorando sulla Lùpara, la cima più alta delle Madonie, un territorio che ormai comincia a conoscere bene. D’altronde non poteva fare qualcosa di diverso, visto che ha “ereditato” questo mestiere dal nonno e dal padre e pur se le montagne del suo Paese sono diverse, alla fine ci sono silenzio e pecore in Sicilia come ci sono silenzio e capre in Marocco. Amir è stanco, ma per la terza sera di seguito deve farsi una scarpinata obbligata per cercare la pecora smarrita. “Pastore là, pastore qua, ma cu mu fici fa’?”, canticchia, mentre, presa la giacca di lana di pecora, esce con il fido Mosè, il grande cane pastore che una volta ha visto combattere coraggiosamente contro un cinghiale. Già, un cinghiale, ce ne sono tanti ora sulle Madonie e di notte è pericoloso. Maledetta numero settantacinque! Amir si arma di un lungo bastone: sembra il San Giuseppe del presepe. La luna è alta in cielo ed essendo molto luminosa lo aiuta nel cammino, rischiarandolo, per non fargli mettere i piedi in fallo. All’improvviso Mosè si blocca e poi sparisce dentro il bosco, guaendo. Amir comincia ad avere paura: cosa avrà sentito? Un cinghiale? E deve essere pure enorme se ha spaventato Mosè in quel modo. Ma è il pensiero di un attimo, perché vede stagliarsi contro la luce della luna un lupo nero, magnifico. Peccato che i lupi siano estinti da trent’anni in Sicilia! Avrà sbranato la sua pecora mancante? È abbastanza distante da dove si trova lui? Uno schiocco alle sue spalle fa scappare il lupo. Un’ombra avanza e una voce dice ad Amir: “Sei arrivato, finalmente”...

Corrado Fortuna sceglie il genere del giallo per questo suo terzo lavoro, completamente diverso dai precedenti. E sceglie la sua Sicilia. Sono due opzioni che non gli costano troppo sacrificio, visto che il giallo è la sua lettura preferita e... la Sicilia è la Sicilia, soprattutto per chi ci è nato. I luoghi sono i suoi e li conosce bene e li ama, tanto che per rispetto ne modifica il nome. Una storia in cui Corrado Fortuna riesce ad inserire molto, non solo in termini di vocaboli, tra i quali spicca “camurrìa” (se non altro per quante volte la tira in ballo e la rende protagonista del caos rumoroso di pensieri in testa al protagonista, Tancredi Pisciotta), ma anche di caratteristiche di questi nostri giorni, non ultimo il razzismo che aleggia a più riprese. E un richiamo veloce alle immagini delle coste siciliane, delle navi piene di migranti, della “gente che ha bisogno di un nemico per giustificare la propria rabbia, la propria frustrazione, la propria infelicità e la propria misera vita in un Paese sempre più misero anche lui”... Poche parole, solo queste, capaci di scatenare mille riflessioni, ma anche di apporre mille etichette su fronti opposti, ma che in realtà sono solo termini vuoti, quasi come a “dare un colpo al cerchio e uno alla botte”, come si dice. Interessante l’intreccio della trama, lungo quasi una vita, con la storia dell’ultimo lupo delle Madonie, ucciso proprio dal nonno di Tancredi (almeno questo è quello che gli hanno raccontato sin da piccolo), le indagini dell’ispettrice Gaia Di Bello, unica esponente delle forze dell’ordine sul territorio di Petralia Soprana, abituata più che altro a starsene seduta in ufficio, piuttosto che a seguire le indagini per un omicidio. E l’epilogo, inaspettato, che mina ogni convinzione, butta all’aria ogni sospetto e soprattutto evidenzia che l'umanità è meno complessa di come vuole apparire o di come vogliamo vederla. Una terza prova superata alla grande per l’attore Corrado Fortuna che, scegliendo il noir, ha voluto rappresentare anche l’oscurità dell’ultimo biennio dell’Italia. Le “incursioni” nella letteratura, ad ogni fuga dal set, gli riescono sempre bene.