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Madre Notte

Madre notte

1961. Howard W. Campbell jr. è in prigione a Gerusalemme, in attesa di essere processato dalla Repubblica di Israele per crimini di guerra. È americano di nascita, ma quando aveva 11 anni, nel 1923, il padre è stato trasferito a Berlino dalla General Electric e quindi lui è cresciuto in Germania, dove ha sposato la bella attrice Helga Noth, figlia del capo della Polizia della capitale tedesca, ed è diventato un apprezzato drammaturgo ben introdotto nell’alta società berlinese. Durante la Seconda guerra mondiale ha lavorato nello staff di Paul Joseph Goebbels, Ministro della Cultura Popolare e la Propaganda del Terzo Reich e uno dei più stretti collaboratori di Adolf Hitler (fra le altre cose, è lui a far conoscere al tedesco i discorsi di Abraham Lincoln, che da quel momento in poi plagerà spesso e volentieri). Campbell jr. conduceva una trasmissione radiofonica in lingua inglese di smaccata propaganda nazista, ma in realtà ha sempre fatto il doppio gioco, passando attraverso quelle chiacchiere alla radio importanti informazioni agli Alleati. Per ringraziarlo della collaborazione, dopo la caduta di Berlino hanno chiuso un occhio sulla sua accusa di tradimento e gli hanno permesso di rifugiarsi a New York sotto falso nome per molti anni. Ora Campbell jr. scrive la sua memoria difensiva su una macchina da scrivere messagli a disposizione da Tuvia Friedmann, direttore dell’Istituto per la Documentazione dei crimini di guerra di Haifa. Per ironia della sorte – o meglio per uno scherzo crudele – la macchina da scrivere è di fabbricazione tedesca, esattamente uguale a quelle su cui Campbell jr. scriveva articoli entusiastici sul Terzo Reich: lo si capisce dal fatto che ha un tasto che tutte le altre macchine da scrivere del mondo non hanno, un tasto che imprime su carta un simbolo, la coppia di fulmini delle SchutzStaffel, le SS…

Kurt Vonnegut jr. firma una spy-story (notare la dedica in esergo a Mata Hari) che ha il sapore della black comedy ma è anche un apologo sul tema della verità e dell’identità. La storia, raccontata tutta in flashback, è quella di un gerarca nazista di origine statunitense che durante la Seconda guerra mondiale – senza un motivo etico profondo ma anzi un po’ per inerzia – viene convinto a fare il doppio gioco da un enigmatico agente dello spionaggio americano, tale Frank Wirtanen. Anni dopo, quando l’uomo vive a New York solo e dimenticato da tutti (si è talmente lasciato andare che da qualche anno nemmeno ha più l’accortezza di usare un nome falso come copertura), fa l’errore di raccontare la sua storia a un vicino di casa che in realtà, per una clamorosa coincidenza, è un agente sovietico. Inoltre il suo indirizzo viene scoperto da un fanatico di destra, un dentista leader di una sgangherata organizzazione suprematista bianca. Costui fa di Howard W. Campbell jr. – che tutto vorrebbe tranne questo – una bandiera, mettendolo sotto la luce dei riflettori e ordendo una trama che coinvolge anche Resi, la sorella di Helga, amatissima moglie di Campbell (stuprata e uccisa da soldati alleati durante la caduta di Berlino) e che finirà per farlo finire nelle prigioni israeliane. Qui cercherà di convincere il mondo della sua innocenza, tra una chiacchierata e l’altra con Adolf Eichmann, anche lui sotto processo, fino al malinconico colpo di scena finale. Howard W. Campbell jr. è il classico personaggio per il quale durante il libro “fai il tifo” ma che è talmente ricco di chiaroscuri che finisci per pentirti della simpatia che ti suscita. Vonnegut scrive nella sua introduzione a Madre Notte - dal quale nel 1996 è stato tratto un film intitolato in italiano Confessione finale, diretto da Keith Gordon e interpretato da Nick Nolte, Alan Arkin e Sheryl Lee - che questo è l’unico dei suoi romanzi di cui riesce a identificare la morale. Ovvero “Siamo ciò che fingiamo di essere, quindi dobbiamo stare molto attenti a ciò che fingiamo di essere”.