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Magistrate finalmente

magistratefinalmente

Nel 1947 uno dei dibattiti più accesi che impegnò l’Assemblea Costituente riguardò l’accesso alla magistratura delle donne. Tra i pareri di opposizione all’accesso in magistratura spiccava quello di Giuseppe Cappi, destinato a divenire presidente della Corte Costituzionale, il quale affermava che “nella donna prevale il sentimento sul raziocinio, mentre nella funzione di giudice deve prevalere il raziocinio sul sentimento”. Della stessa opinione Giuseppe Codacci Pisanelli, futuro Ministro della Difesa, il quale sosteneva che il motivo del divieto era anche dovuto a “una questione di resistenza fisica. In udienza alle volte la discussione si protrae per ore ed ore e richiede la massima attenzione da parte di tutti. È evidente che per un lavoro del genere sono più indicati gli uomini che le donne”. Tra i sostenitori più convinti del divieto, spicca ancora Giuseppe Maria Bettiol, docente di diritto penale a Padova e Ministro della Pubblica Istruzione, il quale esprimeva giudizi per nulla lusinghieri: “San Paolo diceva: «Tacciano le donne nella chiesa». Se fosse vivo direbbe: «Facciano silenzio le donne anche nei tribunali», cioè non siano chiamate le donne ad esplicitare questa funzione, la quale può arrivare a pronunciare una sentenza di morte”. La discussione procederà per oltre un quindicennio, diventando perfino incostituzionale, se si pensa che nel 1948 con la legge Sacchi viene riconosciuto alle donne il diritto di esercitare la professione di avvocato. Con tale legge, infatti, si concludeva vittoriosamente la battaglia di Lidia Poët, che si era vista revocare l’iscrizione all’albo degli avvocati di Torino. Le donne magistrato dovranno invece attendere fino al 1963, anno in cui sarà pronunciata la legge n. 66. A maggio viene indetto il primo concorso al quale hanno accesso le donne, ma su 186 candidati solo 8 donne risulteranno vincitrici…

Si tratta di Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella D’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli. Sono loro le prime donne magistrate d’Italia. La stampa però a volte ironizza, sminuendo spesso ruolo e funzione. “Momento Sera”, quotidiano di Roma, titola: “Una bella ragazza, il giudice Luccioli, […] si fidanzerà a breve”. Nonostante tutto, le donne vanno avanti. A loro si uniscono le vincitrici dei concorsi successivi. Un torrente in piena che non si arresterà mai più se solo si pensa che già nel 1987 avviene il sorpasso. Le vincitrici superano i vincitori. Nel 2022 le magistrate rappresentano il 55,2 % dell’organico. L’età media è di 49 anni, più bassa di quella dei colleghi uomini che è di 52. Il 26 aprile del 2005 ricorre il quarantesimo anniversario della nomina delle prime otto magistrate. Alla Casa del cinema di Roma prende la parola Lella Costa. Con una parodia l’attrice ironizza sugli scontri del 1947, avvenuti nel seno dell’Assemblea Costituente: “Ebbene, uno degli elementi al centro del dibattito è la scarsa propensione da parte maschile all’autonomia di giudizio. Abbiamo esempi che vanno da Abramo a Hitler. […] A noi non piace parlarne, ma è innegabile la limitatezza biologica, l’inadeguatezza fisiologica. Basti pensare alla scarsissima resistenza al dolore fisico, alla tendenza a drammatizzare il sintomo. […] È innegabile, reato è sostantivo maschile… è giustizia che è femminile, come libertà, come democrazia, come Costituzione. Certo, è un giochino facile, visto che maschile è non solo reato, ma anche potere e crimine”. Eliana Di Caro, giornalista de “Il Sole 24 ore”, scrive di temi legati alle donne, ai loro diritti, all’emancipazione femminile. Magistrate finalmente è un saggio che ha la forza impetuosa delle grandi narrazioni. È memoria di pagine buie della nostra storia, una lettura necessaria per non dimenticare da dove veniamo. Consigliato. Vivamente.