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“Mannaggia la via!”

“Mannaggia la via!”

Un giorno, di ritorno dalla scuola dove insegna matematica e scienze, Enzo ha l’idea di raccontare le proprie avventure di ragazzo per la “via”. È sempre stato un bambino disubbidiente: negli anni vissuti in Svizzera il suo passatempo preferito è trascorrere i giorni con la comunità hippy che viveva al di là della sua via, suscitando l’ira della madre preoccupata. Quando ha sei anni, Enzo torna al paese d’origine della famiglia: Carpignano Salentino, vicino Otranto. Il periodo passato dai nonni e dagli zii trascorre veloce, presto arrivano i genitori e il resto della famiglia, con cui si trasferisce in un nuovo rione, dove conosce i primi amici. Angelo, Salvatore, Massimo, Bruno, Luigi sono solo alcuni dei suoi compagni di scorribande. Le giornate passano tra lo studio, al quale si dedica con passione e interesse, ottenendo buoni risultati, e i furtarelli con gli amici per “arrotondare” la paghetta della domenica – sempre troppo scarsa per le caramelle e i divertimenti –, i giochi di strada, le figurine da collezionare, le biciclettate e le partite di calcio improvvisate. Ad Enzo piace la “via” e quello stile di vita vagabondo e all’aria aperta, sempre in compagnia; a sua madre tutto ciò piace molto meno, anzi non sopporta che suo figlio frequenti la strada e i ragazzi del quartiere – per lei delinquenti. Ma di rinunciare agli amici, alle guerriglie tra bande di rioni diversi, agli scherzi, Enzo non ne vuole proprio sapere ed a distanza di anni ancora ricorda il profumo di quei giorni semplici e pieni di vita…

Insegnante di matematica e scienze in una scuola media inferiore, Enzo De Rinaldis esordisce come romanziere raccontando la propria età dell’innocenza in modo preciso e nostalgico. Forse proprio il contatto quotidiano con i giovani in quell’età liminale, in quel limbo tra l’infanzia e l’adolescenza, è ciò che lo ha spinto a frugare nella mente e a riportare alla luce i ricordi della propria fanciullezza. Questo romanzo d’esordio convince per la bravura dell’autore e per la poesia degli aneddoti raccontati. Per chi è cresciuto in un’altra epoca, con altre forme di divertimento, altre regole e preoccupazioni, è un’occasione per scoprire – quasi antropologicamente – un diverso modo di vivere, un’esperienza di vita vissuta che sembra appartenere ad un altro mondo e ad un tempo decisamente lontano, eppure non è affatto così. I personaggi, poco più che bambini, sono già uno specchio fedele dell’umanità tutta, dei suoi vizi e delle sue virtù: invidiosi, vendicativi, solidali, fraterni, prepotenti, fieri, i piccoli personaggi sono compagni di strada, di giochi e di vita. Fresco è il ricordo dei visi, dei nomi e degli aneddoti come se quegli anni fossero indelebili nella memoria, scolpiti nelle rughe della pelle, nei battiti del cuore. Al punto che viene da chiedersi: sono forse quegli gli anni migliori? Enzo De Rinaldis non è così tranchant, ma si interroga su quanto di allora sia rimasto nei giorni nostri, nelle nostre forme di vivere e di divertirci. La risposta sembra essere una sola: poco. E forse è questo che rende ancora più dolci romanzi del genere: ci permettono di rivivere – o di vivere per la prima volta – un’epoca unica e ormai passata.