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Mare in fiamme

Mare in fiamme

Zihad è a cavalcioni su Ivano. Gli ha sferrato dei pugni, e la faccia del compagno è pallida, mentre un rivolo di sangue gli scende dal naso. Non appena Marina entra in classe, deve farsi spazio tra gli alunni assiepati intorno al luogo della rissa; Zihad, agitatissimo, viene immediatamente staccato dal compagno, il quale con gesti calmi e misurati si tocca il volto, constatando la gravità del danno. A quanto pare, Ivano non ha colpa: è stato Zihad a cominciare, saltandogli addosso. Chiara, Mattia, e la piccola Liu fanno timidamente sì con la testa. Anche gli altri alunni sembrano essere d’accordo. Ed ecco che arriva Giovanna, la preside: un tempismo perfetto, pensa Marina mentre allenta la presa su Zihad, finalmente calmo e ora con uno sguardo spento, immobile. Ma Giovanna non è venuta per i due ragazzi, è venuta a dare una brutta notizia a Marina: suo padre, Italo Sarretti, è ricoverato in condizioni gravi al Celio, l’ospedale militare di Roma. Roma? Marina sapeva che suo padre si trovava in Libia. Di certo ha provato molte volte a riportarlo a casa, al sicuro, piuttosto che saperlo in un luogo pericoloso come quello, ma Italo non le aveva mai dato retta. Che fosse tornato senza dirle nulla? Ma anche questo non aveva senso. Di corsa all’ospedale. Suo nonno Orazio, padre di Italo, è già lì, accompagnato dalla sua sedia a rotelle e dal badante, il nigeriano Gary. Attraverso il vetro, Marina vede suo padre intubato. Ha avuto un brutto incidente in Libia, a seguito di un’esplosione nella regione della Cirenaica; le condizioni sono critiche, ma sulle dinamiche dell’incidente vige il segreto militare. Difficile per Marina continuare con la solita routine, mandare avanti cinque classi nella scuola multietnica dove insegna, tra scrutini, lezioni, interrogazioni. Il volto sofferente di Italo, ridotto ad un vegetale, le si para davanti di continuo; quel padre che lei ha sempre visto forte, ferreo, volenteroso. Ma la situazione non è ancora irreversibile, c’è ancora speranza che si possa svegliare. Cosa stava facendo suo padre al momento dell’esplosione? Perché nessuno vuole dirle la verità? Dalla “Gazzetta”, la sola testata italiana con la quale Italo collaborava stabilmente come giornalista, assicurano che non stesse svolgendo nessuna indagine rischiosa. Nessuna minaccia a suo carico, e lui si spostava comunque sempre con molta cautela: dopotutto, Italo ci viveva da tanto in Libia, e sapeva bene come muoversi senza mettersi in pericolo...

“Italiani, brava gente”, recita il famoso detto. Eppure, è proprio da questo luogo comune che lo scrittore e traduttore romano Francesco Troccoli dichiara di volersi discostare, attraverso le pagine del suo Mare in fiamme. Particolarmente attratto dal continente africano e dalle sue vicissitudini, nonché dai rapporti di quest’ultimo con l’Italia, Troccoli smuove, seppur in veste romanzata, le torbide acque nelle quali affonda una delle pagine più drammatiche del passato colonialista italiano, un passato scomodo con il quale sembra che nessuno sia disposto a fare davvero i conti e del quale sappiamo poco o niente, grazie alla censura di stampo negazionista del quale ha goduto fino ad un decennio fa. “In Libia l’Italia si rese responsabile di cose orrende: deportazioni di massa, esecuzioni sommarie, uso di gas contro la popolazione civile, insomma i crimini italiani furono non inferiori quelli del nazismo, eppure queste cose a scuola non si insegnano”. Italo Sarretti, sebbene inerme su un letto di ospedale, è l’intero motore della storia: ponte ideale tra due popoli e due epoche differenti, emblema di chi denuncia, di chi persegue la verità anche a costo della propria vita, sacrificando persino gli affetti più cari affinché crimini e brutture non finiscano sottoterra. Il giornalista ha portato avanti per anni un pericoloso doppio gioco, denunciando da una parte i crimini italiani in Libia, e dall’altra, dopo la cacciata dei nostri, cercando di minare dalle fondamenta il regime di Gheddafi, pubblicando sotto pseudonimo. Il mistero che ruota attorno al suo incidente veste di giallo il romanzo, investendo della qualifica di detective la figlia di Italo, Marina, una giovane insegnante che si rende conto ben presto, non senza rammarico e sensi di colpa, di non conoscere affatto il padre, il quale per anni ha taciuto molti segreti, legati alla sua professione ma anche ai suoi trascorsi personali in Libia, un luogo dal quale non ha mai voluto separarsi e nel quale i Sarretti sono trapiantati da ben tre generazioni. Grandi sorprese attendono Marina, mentre intorno a lei, una variopinta società di stampo multietnico lotta per affermare la propria dignità e realizzare il sogno di una pacifica integrazione. La strada, neanche a dirlo, è in salita: lo vediamo in Zihad, undicenne di origine curda che agisce da teppistello per farsi intendere, e nella piccola cinese Liu, compagna del ragazzino, che per difendersi dagli attacchi dei bulli fa finta di non capire una parola di italiano. Anche Gary, il badante nigeriano di Orazio, si trova in una posizione difficile, con un gemello senza passaporto a rischio di espulsione dal paese con il quale spesso si scambia di posto. “Personalmente sono un fautore della libera circolazione delle persone in ogni parte del mondo. La Terra è di tutti. Le migrazioni sono un fenomeno antropologico ben noto: hanno fatto e faranno sempre parte della storia umana. I primi Sapiens a popolare l’Europa provenivano dall’Africa”.