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Marie Grubbe

Marie Grubbe
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Una ragazzina solitaria passeggia per il giardino. Ha quattordici anni, si chiama Marie ed è la figlia di Erik Grubbe, proprietario della tenuta di Tjele, in questo momento impegnato ad ascoltare le lamentele della governante, che è anche la sua amante. «Marie ha più ostinazione di quanta gliene serve per andarsene per il mondo. E fosse solo questo, ma è cattiva, sì!», sostiene la donna tra le lacrime. Marie è cattiva e deve andarsene. E così Marie se ne va, spedita da zia Rigitze a Copenaghen, figlia minore ma soprattutto secondaria, fardello tollerato e mai amato. Sente la freddezza, Marie, e rimane in disparte, solitaria e sognatrice, mentre la Selandia è in guerra. Ma con il tempo che trascorre il suo corpo cambia e fiorisce: d’un tratto ha diciassette anni ed è una dama ammirata e ricercata da tutta la corte danese, seconda a nessuno per bellezza e grazia. Con il riscatto sociale arriva anche l’amore, un sentimento che Marie inseguirà ostinata per tutta la vita, ribellandosi alle regole, al buon senso e a una società che le consiglia di accettare di buon grado qualunque ipocrisia nel nome della ricchezza e della prosperità…

«Una donna come quella Marie Grubbe è un carattere troppo forte perché per un fiabista sia possibile rappresentare o spiegare la sua natura. Se ci si prova, si percepisce uno squilibrio tra oggetto e forma», scrive Georg Brandes parlando del tentativo di Hans Christian Andersen di inserire le vicende della donna (una nobildonna realmente esistita) in un suo racconto. Ma qui Jens Peter Jacobsen – scienziato, botanico, traduttore e divulgatore di Darwin in Danimarca oltre che poeta e romanziere – raccoglie la sfida e, mezzo secolo prima del ben più noto L’amante di Lady Chatterley (era il 1876) scrive della vita e degli amori di Marie, creando il ritratto di una donna caparbia, moderna e consapevole dei propri desideri, che non teme di abbandonare il proprio uomo quando questo si dimostra indegno della sua attenzione e del suo affetto, facendo mostra di quel vago cinismo che assale chi si rende conto di aver scambiato per amore una momentanea follia. L’unica relazione a sopravvivere è d’ispirazione schubertiana, un sentimento scoppiato nella natura e come essa sottoposto a regole più semplici, sensuali e radicali; una natura che per tutto il romanzo si fa specchio del cuore della protagonista, arricchendo di simboli e vivide immagini gli “interni” che Jacobsen consegna ai suoi lettori.