
È autunno inoltrato, soffia un vento gelido e il sole scompare presto all’orizzonte. Mr. Pecksniff arranca ubriaco sugli scalini che lo conducono al portone della propria dimora, dopo aver fatto baldoria alla locanda del “Drago Azzurro”. Sbanda e cade procurandosi abrasioni e lividi, lo stordimento è forte, ma quando le sue figlie, Mercy e Charity, si affacciano per scoprire cosa ha prodotto quel rumore, riesce a chiedere aiuto. Esperto di precetti morali, il noto architetto è costretto a fare i conti con un suo allievo, supportato dall’amico John Westlock. I due lo accusano di scorrettezza e di aver mancato ai suoi obblighi nei confronti dello studente e si allontanano indignati. Pensieri di varia natura riempiono la mente di Mr Pecksniff, disposto però a perdonare il torto e guardare oltre, in fondo chi è lui per giudicare la pochezza umana? Ci penserà Dio. La sua condotta morale e le sue parole sempre opportune lo hanno reso famoso e in molti lo considerano una guida spirituale e di vita, al punto che quando si palesano problemi in città è a lui che tutti si rivolgono per un consiglio. Lo stesso decide di fare la signora Lupin, proprietaria del Drago Azzurro, quando alla sua porta si presentano un vecchio malato e intrattabile e una giovinetta dai modi educati e schivi. Ancora di più quando scopre, con grande turbamento, che la fanciulla non è in alcun modo imparentata con l’uomo e non è sua moglie. Informato della faccenda Mr Pecksniff decide di portare il suo contributo e così si presenta senza cerimonie al vecchio scorbutico, per poi riconoscere in lui un lontano cugino: Martin Chuzzlewit senior…
Descrizioni paesaggistiche raffinate: “Bacche autunnali pendevano simili a grappoli di corallo”, immagini liriche e suggestive: “I rami più sottili crepitarono e scricchiolarono muovendosi in danze di scheletri” fanno da cornice al racconto. Uno dei romanzi più impegnativi e coinvolgenti di Charles Dickens, in cui spiccano i personaggi caricaturali simbolo della sua denuncia sociale, mostrata attraverso gli uomini e i loro difetti, gesti, atteggiamenti e pensieri. Aspra la satira riferita agli Stati Uniti, allo schiavismo, alle armi e che suscitò negli americani che tempo prima avevano ospitato l’autore in pompa magna un forte sdegno. L’esasperata ostentazione, il caos e le maniere poco eleganti con cui si era scontrato avevano lasciato in Dickens un’impressione negativa che contamina il romanzo. Gli eccessi grotteschi e umoristici delle situazioni nella storia non trasmettono leggerezza, come nel Circolo Pickwick, bensì una nota malinconica che colpisce dall’inizio alla fine, ed è difficile affezionarsi ai personaggi, caratterizzati dalle incisioni di Phiz. Nella prefazione dedicata al Martin Chuzzlewit, G. K. Chesterton dichiara che Dickens, in crisi per il calo di vendite delle dispense pubblicate tra il 1843 e il 1844 e per il timore del declino della sua carriera, “Riversò in questo libro tanto di quel genio che avrebbe potuto far smuovere le montagne dalle risa, e tanta di quella creatività che avrebbe potuto mettersi a far giochi di prestigio con le stelle. Ma il libro era triste ed egli lo sapeva.” Un romanzo immenso, forse incompreso.