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Massimo Troisi

Mentre un bambino gioca nella cucina di casa, un televisore trasmette il film del 1987 di Massimo Troisi Le vie del Signore sono finite. Il bambino si chiama Ugo, lo stesso nome proposto per un eventuale figlio dall’attore nel finale di Ricomincio da tre (“accussì ‘o guaglione vene cchiù educat’”); infatti Ugo arriva a sovrapporre la figura di Troisi a quella del proprio padre che perderà due anni dopo a causa di un cuore consumato. Lo stesso cuore allo stremo di Troisi nella sua ultima interpretazione ne Il postino e, a ritroso, il cuore patito di Pensavo fosse amore… invece era un calesse, o quello provato dalle avversità del Pulcinella de Il viaggio di Capitan Fracassa di Ettore Scola. Ed è proprio nella parte di un Pulcinella che Massimo Troisi esordisce nel teatrino parrocchiale di Sant’Anna a San Giorgio a Cremano: ma lui, che l’attore non lo voleva fare, una volta in scena entra in confusione, dimentica le battute e comincia un balbettio che accompagna la messa a nudo della sua timidezza, incertezza e senso di inadeguatezza. È un successo: l’ilarità generale non era mirata al dileggio, ma dovuta a ciò che lui aveva portato in scena. È l’inizio di un’avventura che lo conduce, assieme a Lello Arena ed Enzo Decaro, dai piccoli teatri al grande successo televisivo fino ad una strepitosa carriera cinematografica pluripremiata che si concluderà con una produzione internazionale che lo renderà noto a livello mondiale. Ma in quest’ultimo passaggio Massimo ci avrà già salutati: ha lasciato il cuore sul set de Il postino, regalandolo un po’ a tutti…

Un atto d’amore. Un atto d’amore che non consente di entrare nei meandri della critica stilistica del fumetto: il fatto che Troisi ne sia l’oggetto costituisce un lasciapassare senza alcun bisogno di timbri. Salta all’occhio che il disegnatore Luca Albanese sia nato proprio nell’anno della scomparsa dell’attore, cosa che va a confermare che alcune figure, come Totò, riescono a rientrare tra gli affetti personali anche se non li si è conosciuti in vita. Irrilevante invece, il fatto che entrambi gli autori siano campani, perché Troisi ha messo così a nudo il cuore e l’esistenza da essere universale e, non a caso, ha ambientato il suo primo film a Firenze, proprio per non rimanere chiuso in uno stereotipo partenopeo. Come recita la poesia di Roberto Benigni dedicata all’amico perduto “e non m’ha mai parlato della pizza, e non m’ha mai suonato il mandolino”… Lodevole l’operazione di continuare a parlare di Massimo in ogni forma e maniera e quella di inserire in forma decontestualizzata alcune sue celebri frasi (“Voglio che mi lasciate soffrire tranquillo, voglio soffrire bene. Se mi distraete nun me riesc’ a concentra’… Con voi qua non riesc’… soffro male, soffro poco, non mi diverto”). Non stiamo parlando di un capolavoro ma di una pubblicazione un po’ didascalica che comunque merita di stare a portata di mano affinché bambini come Ugo, magari si incuriosiscano e scoprano grandi verità nascoste dietro a frasi smozzicate. Per riuscire a raccontare tutto Troisi ci vorrebbe un miracolo e, per citare ancora la poesia “per lui non vale il detto che è del Papa, morto un Troisi non se ne fa un altro”. E poi: “Miracoli pochi, che so’ complicati”.