
Tra riferimenti mitologici (la poesia titolata “Al ripensamento di Adone” per esempio) e dediche varie richiamate da alcuni titoli si procede con una serie di poesie nel ricordo di una donna di nome Maria Ferrillo, citata come destinataria sia con un ex-libris sia con una dedica iniziale (“Per Maria Ferrillo, l’ultima erede dei coralli”). Nella poesia A Endimione si capta un riferimento al mito di Endimione e Selene (“Spavento è il rituale tuo del giorno / quando ritieni sacro lo schierarti a vita…Selene a sé finge progenie non mortale”), si intravede un “chiaro” passaggio collegato alla morte di Percy Bysshe Shelley nella poesia a lui titolata (“Rotti i cartografi / il tuo avambraccio s’offre a rotta / sofferta di pelle”). Dopo questo breve capitolo di poesie dedicate, si passa a Divide et Impera – Poemetto in cinque stanze in cui si comprende la depressione del poeta alla perdita dell’amata (Maria?): non ha la volontà di alzarsi dal letto (“Supino penso ai primi versi che a lei dedicai…non dormo eppure vivo in un letto. / Sotto il cuscino ripongo la poesia in Sua dedica…Parole in dedica tua ora le metto a protezione / da me medesima custodia d’orcosità innocente). La quinta stanza ci offre la vista del poeta finalmente in piedi (“La nuca è in salita retta…”). Segue il capitolo Errata Corrige nelle cui poesie il riferimento alla amata si fa più evidente (“Svegliati. La mattina cinerea / ti segna le guance / Consunta notte nel consunto fuoco: bruci come il rovere / sereno nel giorno di Santa Giovanna / al rogo… Profumi d’incenso / e del notturnale falò solo la nera / cicatrice delfica ti guarda / con spiriti e lettere piene di sonno”)…
Quando di una poesia il lettore dice “Che bella!” cosa intende? Intende, più o meno consciamente, che quella poesia ha colpito la sfera delle sue emozioni, ma non saprebbe forse spiegare il perché, o dire di più. In realtà succede di più: ciò che ha letto è una perfetta concatenazione del dissimile, il poeta cioè è riuscito a rendere omogenee e quindi intuibili delle immagini, delle figure tra di loro eterogenee, diverse dal punto di vista del significato o della percezione sensoriale, ma che sono state rese esteticamente plausibili e quindi l’intelletto le ha colte e la parte emozionale le ha ricevute. Tutto questo preambolo per dire che le poesie di questa raccolta, almeno la stragrande maggioranza “sono brutte”, il risultato della lettura non è quello che ci si aspetta da una buona poesia (cioè tutto il detto sopra). Come si permette un recensore di essere così brutalmente (!) diretto? Semplice. Fa riferimento alla critica strutturalista, esamina il codice della retorica, legge con senso critico le varie metafore, similitudini e tutto il resto della compagnia. Come è il codice retorico di queste poesie? Difficilmente decifrabile. Le metafore, le similitudini non creano un ordine di comunicazione efficace, sono impermeabili, presuppongono già una conoscenza - per esempio dei miti greci - e l’onere, per un lettore che non abbia un background adatto, di interrompere o nemmeno iniziare la lettura (perché a volte già i titoli non sono a tutti comprensibili) per “googlare” le informazioni sconosciute. Un esempio di comunicazione inefficace: “Rideranno sotto motti di prestiti festivi / loro / le minime corde di invitati a ecclesie banali- / forse ostracizzo l’obolo perché conosco esista / estinto il dio gratuito di volontario lieto”; oppure “Potenza verbale venne d’accusa / a chiamarmi confesso / perché loro giudicano la macchina / alla produzione di parole dentro mio palato / schioccano”. Probabilmente rileggere copiosamente i versi ostici gioverebbe alla comunicazione e quindi all’apprezzamento? Provateci, io ho gettato la spugna. Trattasi, aggiungo, di autore giovane alla prima esperienza editoriale. Mi aspetto e spero in qualcosa di più fruibile.