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Memoria e desiderio

Memoria e desiderio

Lagos, Nigeria, primi anni Duemila. Il presidente Obasanjo è stato appena rieletto per un secondo mandato e Prof è stato finalmente rilasciato dopo dieci anni di carcere. Ha deciso di stabilirsi in quella che era la casa del padre e dal giorno del rilascio tiene le luci spente, le pesanti tende sempre tirate sulle finestre. Ogni tanto esce – coperto dalla testa ai piedi, una sbarra di ferro usata come bastone – per comprare cibo e cherosene. A volte gli capita di sentire i pettegolezzi che girano su di lui nel quartiere. Si dice che sia impazzito, perché non esce mai di casa e tiene porte e finestre sbarrate. Sicuramente Prof non è più quello di un tempo. Non vuole parlare con sua madre, né con Kayo, il suo migliore amico. Ogni tanto sente ancora la Voce. L’ha chiamata Desanya, come quella bambina incontrata molti anni prima a Maroko. È stata Desanya a salvarlo durante la prigionia e l’isolamento, la sua voce l’ha aiutato a sopravvivere... Lagos, quartiere Abesan. Desire non riesce a dormire. Si rigira accaldata nel letto, osserva il piccolo appartamento che divide con l’amica Remilekun. È la madre di quest’ultima, Mama T, a pagare loro l’affitto. L’hanno convinta a prendere un appartamento lì, ad Abesan, le hanno giurato – mentendo – che lì sarebbero state ben lontane dalle pericolose società studentesche. L’elettricità nel quartiere va e viene, come in tutta Lagos. Sono da poco passate le tre, quando Desire sente Remilekun entrare nella stanza. L’amica balza sul suo letto e insiste per parlare. Non si vedono da tre giorni e ha grandi novità. Ha saputo che l’uomo di cui Desire parla sempre, quel tale professore, è stato liberato. Dicono che non sia più quello di prima, che addirittura si cibi di scarafaggi, che esca solo di notte. E non è finita: pare che abiti lì vicino, nel loro stesso quartiere. Desire è emozionata ma cerca di non farlo trasparire di fronte a Remilekun. Prof è un eroe, il suo attivismo è leggenda. E in un certo senso le ha salvato la vita. L’aveva incontrato da piccola, quando era venuto a supportare gli abitanti sfrattati di Maroko. L’aveva presa in spalla, le aveva regalato un libro intitolato Come essere nigeriano. Grazie a lui Desire aveva iniziato a leggere e ora studia scienze politiche all’Università. Chiede all’amica di accompagnarla a casa di Prof, ma di fronte alla porta esita. Torna il giorno dopo, esita di nuovo, infine trova il coraggio di bussare...

Essenziale e schietta, delicata e potente. La storia che Jumoke Verissimo, autrice e poetessa di origini nigeriane, sceglie di raccontare in questo suo primo romanzo – pubblicato per la prima volta nel 2019 con il titolo A small silence e vincitore dell’Aidoo–Snyder Prize 2020 – ha come costanti il buio e il silenzio. Il buio in cui si rifugia Prof, un’assenza di luce che rispecchia un animo segnato da torture disumane, dalla disillusione delle speranze della gioventù; il buio che avvolge il passato della brillante Desire, l’”indesiderata”, in un doloroso segreto familiare; il buio al cui cospetto si concretizzano gli incontri tra Prof e Desire. Intimi e colmi di sofferenze taciute e condivise, di angoscia e tenerezza, di silenzi tesi. Perché solo nel silenzio i dolori del passato trovano la possibilità di sedimentarsi e, forse, non fare più paura. Il silenzio, ci rivela la voce sensibile e acuta di Desire, è “dove bisogna raccogliersi per ascoltare”, perché “anche il silenzio racconta storie”. I protagonisti nati dalla penna di Jumoke Verissimo sono segnati dall’assenza paterna e al contempo orfani di una patria amata ma negligente, quando non pericolosa. È una Nigeria traumatizzata dalla dittatura militare del generale Sani Abacha. È una Lagos dal fascino ruvido e chiassoso, che vive la sua caotica quotidianità tra soluzioni provvisorie (“dobbiamo pur far funzionare le cose in qualche modo, in questo paese. Non abbiamo un governo. Troviamo delle soluzioni, per forza. Bisogna sopravvivere, in un modo o nell’altro”), proiettili vaganti e fermento di clacson, illuminata a intermittenza dalla luce elettrica che va e viene. Un Paese in cui, come ha affermato l’autrice in un’intervista rilasciata a “La Stampa”, “la gente parla moltissimo e in continuazione, per strada, sui bus, urla, si arrabbia, ma finisce sempre che le cose importanti non vengono mai dette”. È proprio una riflessione su queste “cose importanti” che la Verissimo sembra voler affidare ai suoi personaggi, ai pensieri inespressi e ai dialoghi silenti, per far sì che la memoria possa aiutare a guardare avanti. Che si trasformi, insomma, in desiderio di rinascita. Perché davvero non è possibile dimenticare, come talvolta vorrebbe Desire, come vorrebbe Prof. E forse non è auspicabile: non se si vuole ritrovare la luce.